L'aria è fresca anche se appare sterile. Sembra non voglia liberarsi di un guscio inesistente. Non ha voglia di soffiare, di circolare tra le anime di questo mondo a parte. Non si sa se la temperatura è sopportabile o meno. Chi ha la giacca, chi le maniche della camicia accartocciate, chi cammina senza calze.

Ogni cosa qui ha una vita, forse di gomma per via dei contorni. Marcamenti ben incisi come se volessero uscire dalla tela per invadere un qualsiasi spazio. Il problema è che un mercato popolare siciliano non può invadere nessuno spazio se non il suo. Quel campo di battaglia fatto di urli dialettali, squilli di tromba animati dallo stesso timbro per poi trasformarsi in sonate anonime tra le mura domestiche. Una guerra fatta di voci, dove si combatte con l'astuzia e la qualità. E' difficile uscire indenne dagli assalti di quei suoni, così come è bellissimo farsi irrorare dalla potenza di quella musica.

Un'opera che non cambia protagonisti, non possiede quinte per alcun preparativo. Non ci sono luci se non quella solare e non esiste alcun regista. In Sicilia, a Palermo, di mattina, su una terra mescolata a sangue, zucchero e vitamine abbronzate, si improvvisa. E mai che si sbaglia una battuta o si dimentichi una nota. Un'orchestra perfetta di formidabili artisti che vivono con i loro strumenti. Tutti pronti, piazzati, chi alle uova, chi al pesce spada, chi ai finocchi, ai limoni, polipi, mele, formaggi. In attesa che la gente inizi a dirigere.

Basta un piede che calpesti quel suolo e ogni cosa prende forma. Una paradossale, strana natura morta quanto mai in movimento. Le uova lucide come sassi plasmati dall'acqua dolce, le verdure perennemente in vigore, i movimenti meccanici ma precisi di chi intarsia il bue squartato. L'occhio del passante rivolto più alla donna che al resto. Sesso liofilizzato tra le olive opacizzate dai vetri usurati dei barattoli, tra le noci incupite dai tessuti grezzi dei sacchi di canapa. Quelle forme ci saranno senz'altro, anche se di spalle e velate di sete innocenti. Ci saranno seni accoglienti anche se coperti da pesanti capelli castani.  La missione è percorrere quel viottolo tra le armi degli orchestrali contando per bene i passi allo scopo di evitare carta unta e frammenti di cassette. Rapire un profumo effimero che a stento reagisce alla forza naturale degli odori circostanti.

Le viscere fresche dei pesci ancora umidi, le armature briose dei gamberi in lento movimento, il pizzicore vorace dei formaggi unti. E il baluginio permanente delle stelle artificiali, la potenza di fuoco delle mele e delle stigghiole e la platea oculare delle orate. O degli scorfani. I pensieri disturbati della donna a lutto e lo sguardo speranzoso del suonatore con la spada. Pennellate secche ma animate, morte ma vivaci, profonde ma lucide.  

Che meravigliosa confusione, la Vucciria.

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