Il 1990 vede esordire ufficialmente il regista Richard Stanley, che realizza una pellicola fanta-horror low budget che nel tempo è diventato un piccolo cult per gli amanti del genere. Tanto per far chiarezza fin da subito, l'opera in questione segue il filone post atomico e angosciante dei vari "Mad Max", "Terminator", rifacendosi agli insegnamenti di alcuni maestri del genere come Carpenter o Raimi. La trama è semplice e addirittura scontata: in un futuro non troppo lontano, dominato da deserti radioattivi (quelli di Ken in Guerriero tanto per capirci), sobborghi fatiscenti e bui (che ricordano da vicino "Brazil", o il solito "Blade Runner") e sconvolto da una guerra non ben definita, un uomo che si guadagna da vivere andando alla ricerca di oggetti da smerciare a robivecchi, trova la testa di un robot e la regala alla fidanzata, la quale vuole utilizzarla per completare una scultura di metallo che sta realizzando. Sfortunatamente la testa è quella di una macchina da combattimento che ha la facoltà di autoripararsi e assemblarsi e non ci vorrà molto perchè nell'appartamento della sventurata il robot, chiamato M.A.R.K. 13 (da cui il titolo del film in lingua originale), semini morte e panico.

Banale e piatto? Assolutamente no, perchè in questo caso la differenza a favore della pellicola la fanno i dettagli. Innanzi tutto, nonostante i non troppi dollari a dispozione (e si vede, soprattutto nella realizzazione e nell'animazione del perfido robot, nonchè nelle scenografie) la fotografia è buona e le soluzioni visive studiate per aggirare i vari limiti della produzione sono azzeccate e funzionali. I colori sono virati sul rosso fuoco, gli interni sono, ovviamente, lugubri, sporchi e fumosi, ma forse la caratteristica più evidente del film è il fatto che in questa piccola opera sono racchiusi tutti i clichè che nel tempo si sono cristallizzati nei film di questo genere; non che "Hardware" sia il primo, ricordiamo che siamo ormai nel '90 e le strade sono state abbondantemente aperte, ma la miscela con le giuste dosi viene raggiunta qui. Per citare alcuni di questi "marchi di fabbrica fanta-horror" bisogna far riferimento prima di tutto al nome del robot, M.A.R.K. 13, estrapolato da un passo del Vangelo Secondo Marco (le classiche citazioni apocalittiche di morte e distruzione), e non mancano gli elementi del potere quasi assoluto dei computer, della malignità degli uomini, della società decadente (si parla di controllo delle nascite, radiazioni, sterilizzazione, delinquenza vertiginosa).

In questo clima di Deja-vu la trama (scontata) scorre bene fino a salire in un climax che sfocia in un'orribile massacro negli ultimi venti minuti. "Hardware" non è il film che si guarda per sapere come va a finire, ma la visione è piacevole, soprattutto se si colgono i rimandi alle altre pellicole, se si apprezzano le soluzioni "artigianali", senza dimenticare l'ottima colonna sonora, tra cui spiccano i Ministry, il divertente cammeo di Lemmy dei Motorhead e la presenza di Iggy Pop. Degno di nota è il momento psichedelico che preannuncia il trapasso del protagonista.

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