Cristallina, aerea, la luce.

Fluttui d'intorno, cullato, in atmosfere bucoliche, sognanti. Cieli al tramonto di luglio, sciabordii di ricordi nel cuore. Ascolti questi due concerti, limpidi, sereni. Mozart, Strauss e l'oboe.

Strumento rude, camprestre, l'oboe. Strumento da pastori, strumento da Natale, strumento di nenie. Ma anche strumento introverso, ascoso, intimo e notturno. Strumento da soliloquio. E strumento che già Bach aveva valorizzato allo stremo, nei virtuosismi solistici delle sue Cantate e delle sue Passioni. L'oboe dei concerti di Vivaldi, di Haendel.

L'oboe di questo concerto in do maggiore di Mozart. Sereno, giocoso e buffonesco. Sin dall'"Allegro Aperto" che apre il concerto. Aperto, come un cuore pronto alla vita. Un tema energizzante e cullante, trilli e semicrome, rapidi scambi fra il solista e gli archi, giochi di bravura, sprazzi di cielo limpido, di azzurro musicale, profondo blu d'oltremare della lievità mozartiana.

Atmosfere romantiche, intimistiche, crepuscolari nella "Romanza". Cuore ripiegato su se stesso, fruscii di petali, mormorii setosi. Istanti irrepetibili, bellezza estenuata del ricordo.

Leggerezza che ritorna nel "Rondò". Tema chiuso, di poche battute, autoaffermato, potente e gioioso. Danzerecco e delicato, l'oboe fraseggia, gioca, si urta, sfida l'orchestra a colpi di virtuosismo e leggerezza. Danze d'amore.

Ma è il Concerto di Strauss ad essere davvero la pagina più grande. Una grande pagina del Novecento musicale. E' più mozartiano di Mozart, il concerto di Strauss. E' la fiducia nell'uomo che si arrampica sul cuore come un'edera sempreverde. Un'edera che costruisce il futuro dopo una guerra.

Composto alla fine della Seconda Guerra Mondiale in una Germania dilaniata, il Concerto di Strauss è catarsi, superamento. L'"Allegro Moderato" riprende fraseggi cullanti, una tonalità di re maggiore celeste, di zaffiro, quasi. Fluttuazioni da virtuoso nei respiri del solista, cromatismi arditi ed erotizzanti, fino all'esplosione di un "Tutti" orchestrale che è serenità, distillato di bellezza, trascendenza. Un tema mozartiano, le riprese dei corni, le note staccate dei violoncelli.

Un movimento lento, l'"Andante", in si bemolle. Tremandamente accorato, oscuro e dolce come un cognac, un movimento che si raggela in una cadenza di straordinaria complessità. Dolcissima e cromatica, buffonesca a tratti, scambi e rimbrotti fra archi pizzicati che ribadiscono singole note. Aspre e sicure.

Il buffonesco "Vivace", a chiudere. Saltellante, argento vivo musicale. La danza, ancora. Una danza fanciullesca, innocente, imbronciata a tratti. Un finale che irrompe contro le barriere della musica per rovesciare a cascata il fresco e la luce del proprio messaggio.

Per una volta Schoenberg sbaglia. "L'arte non è arte se è per tutti". Non è vero. Questa musica è oltre tutto e abbraccia tutti. E' serenità, fratellanza. E bellezza. Profonda.

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