"Tutto intorno è sangue e fango, io son divino, io son l'oblio, io sono il dio che sovra il mondo scende da l'empireo, fa della terra un ciel... io son l'amore, io son l'amor, l'amor..."

E cosa c'entra mi chiederete, giustamente, questo specifico passaggio della celebre aria "La mamma morta" dell'Andrea Chenier di Umberto Giordano? In teoria nulla, è un accostamento tutto mio, semplicemente non trovo parole migliori per descrivere in breve quello che Salome mi rappresenta. è proprio con quest'opera che ho conosciuto Richard Strauss, ed è proprio con quest'opera che Richard Strauss ha espresso per la prima volta il suo immenso potenziale operistico, quello stile inconfondibile fatto di visionarietà, psicologia e soverchiante potenza orchestrale, infinitamente superiore a quello di un qualsiasi derivativo di Wagner e, almeno dal mio punto di vista, superiore e non di poco a Wagner stesso; dopo Salome, arriveranno in successione Elektra, Der Rosenkavalier, Ariadne auf Naxos e Die frau ohne Schatten, praticamente un decennio intero di sublime ispirazione, ineguagliato e inarrivabile nel contesto dell'opera novecentesca.

Difficile spiegare le emozioni provate al primo ascolto di quest'opera coraggiosa, che a più di un secolo di distanza suona ancora così moderna, ammaliante e originale. è stato un colpo di fulmine, anche a livello di contenuto letterario: vedere idee a me così vicine espresse in questa forma, in questo incontro tra Oscar Wilde e Richard Strauss, è un "qualcosa" che smuove dentro, tra tutte le opere ascoltate, Salome è quella che più di ogni altra mi ha dato l'impressione di essere stata scritta su misura per me. Atto unico, relativamente breve, struttura estremamente fluida, imprevedibile, un'aurora boreale che risplende sia in esplosioni quasi violente che in luminescenze soffuse e sensuali. La scena della danza dei sette veli, specchio strumentale dell'intera opera, rende perfettamente l'idea.

Si, effettivamente è un lavoro pieno di decadenza e di perversione, ma queste brutture non vanno assolutamente ricercate nel personaggio di Salome: lo schifo è Erode, lo schifo è soprattutto Jochaanan, Giovanni il Battista. Si, avete letto bene. Volgare, superstizioso e codardo, Erode è una chiara personificazione dei tratti più deteriori del tipico uomo di potere; l'elenco di tutte le sue ricchezze, con cui tenta di distogliere Salomè dalla sua richiesta e svincolarsi dal proprio giuramento è una scena così patetica, e così ben congeniata da suscitare autentica ilarità, anche nel contesto così emotivamente carico di quest'opera. E il profeta, poi... mai visto un personaggio più disumano, con quel cantato declamatorio, berciante, avvelenato, in lui non ci sono nient'altro che condanne dei peccati altrui e visioni di pentimento e di giudizio. Semplicemente disgustoso, come disgustoso è il fanatismo, eppure Salomè prova a redirmerlo, a cercare in lui una naturalezza, un'umanita che purtroppo è del tutto assente. Alla fine avrè quello che si merita.

A parte la protagonista, c'è un altro personaggio che possiede delle qualità positive, ovviamente mi riferisco alla regina Erodiade, "ignobile peccatrice", una donna sì algida e superba ma a suo modo protettivamente materna nei confronti della figlia, e soprattutto dotata di raziocinio: le sue reazioni sprezzanti alle buffonate di Erode e alla grottesca, amaramente veritiera scena del litigio tra i rabbini ne sono la prova, come anche l'odio del profeta nei suoi confronti; il fanatismo non può che odiare la razionalità. Salome ed Erodiade, cuore e mente, istinto e ragione, l'equilibrio perfetto della natura umana. I due di prima invece ne rappresentano le deformazioni e le innaturali autocensure.

Vocalmente, la parte di Salome è un suo universo a parte, solo molto vagamente assimilabile a quei ruoli da soprano drammatico classico di cui la sua "gemella diversa" Elettra rappresenta la declinazione più esasperata; non per niente, tra le grandi Salome del passato c'è stata anche Montserrat Caballè, decisamente non una tipica voce straussiana. Più che un grande volume vocale, più che potenza statuaria per Salomè ci vuole una voce piena d'armonia, una vocalità fresca, giovanile, agile; ci sono molte punte aspre, drammatiche, ma non sono quelle a definire il personaggio di questa donna-bambina che vede la bellezza anche dove non c'è. Salomè è quei versi poetici, così musicali, così melodiosi della scena in cui tenta di sedurre Jochaanan, poesia che cade nel nulla oscuro e gelido del suo oggetto del desiderio, ed è anche quel meraviglioso monologo davanti alla testa mozzata, anch'esso carico di grandissima melodia... "Non mi hai mai vista, avevi gli occhi chiusi per guardare il tuo dio, se solo mi avessi vista mi avresti amata ... i misteri dell'amore sono più grandi di quelli della morte". Non era questo quello che voleva, non era così che sarebbe dovuto finire, è un trionfo amaro, quel bacio finale ha il gusto del sangue, che forse è il gusto dell'amore stesso.

Ah, e alla fine Erode, in un ultimo atto di viltà, la fà uccidere, neanche il coraggio di sporcarsi le mani in prima persona. Ma facendo questo non può che sancire l'apoteosi di Salomè, colei che veramente rappresenta il Divino in quest'opera, allo stesso modo di una Dea dell'antichità classica, con la stessa voluttà e la stessa umana imperfezione.

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