Un peccato, uno spreco. Ecco cos'è questo film.
Anno 2000: Dopo "Thelma & Louise" (1991) Ridley Scott ha messo insieme tre film discreti ("1492" / "L'Albatross" / "Soldato Jane") ma di sicuro non all'altezza di un nome come il suo, e per risollevarsi sta puntando tutto sul suo nuovo progetto: "Il gladiatore". Scott si gioca il tutto per tutto e vince su tutta la linea: "Il Gladiatore" è un trionfo in termini di critica e di incassi (solo nel 2000 incassa 457.640.000 di dollari), conquista cinque oscar, proietta Russel Crowe nell'olimpo delle star di Hollywood grazie ad un personaggio francamente indimenticabile e porta le quotazioni di Scott ai massimi storici. A questo punto Scott può fare qualsiasi cosa. L'industria del cinema è pronta a mettere ogni risorsa a sua disposizione. E il nostro regista mentre girava il suo ultimo capolavoro ha messo gli occhi su "Hannibal", romanzo di Thomas Harris uscito nel 1999 e seguito de "Il silenzio degli innocenti", la cui trasposizione cinematografica fruttò cinque oscar, proprio come "Il Gladiatore". Detto, fatto! Dino De Laurentis mette a disposizione di Scott un budget di 90.000.000 di dollari per la realizzazione del film! Tutto sembra procedere per il meglio. Ma è qui che incominciano gli intoppi...
Anthony Hopkins accetta immediatamente di tornare a vestire i panni del cannibale che gli valse l'oscar anni prima, ma Jodie Foster si rifiuta di tornare a interpretare Clarice Starling in quanto non ha gradito i cambiamenti apportati al suo personaggio da Harris nel suo nuovo libro. La scelta per sostituirla cade su Julianne Moore, che fa onestamente del suo meglio proprio non riesce a liberarsi dell'ingombrante ombra della Foster. Le new entry sono Ray Liotta, nel ruolo di Paul Krandler (un superiore di Starling), e soprattutto Gary Oldman, che dà volto allo sfigurato Mason Verger, unica vittima sopravvissuta di Lecter e desideroso di vendetta.
Dieci anni dopo gli eventi del primo film Starling vede la propria carriera affossarsi per via di un'operazione finita male e i suoi superiori le offrono di riprendere le indagini su Hannibal Lecter per riscattarsi, invitandola a rivolgersi a Mason Verger, miliardario e anch'egli interessato a ritrovare Lecter per attuare la propria vendetta. Lecter, intanto, è a Firenze sotto falso nome e viene riconosciuto dall'ispettore Pazzi (un nostrano Giancarlo Giannini) che, d'accordo con Verger, tenta di catturare il buon dottore per accaparrarsi i 3.000.000 di dollari della ricompensa. Il film si sviluppa lungo le due ricerche parallele, quella di Starling e quella di Verger, fino al loro incrocio e al macabro finale.
La prima debolezza del film consiste nella sceneggiatura che cambia moltissimo rispetto al libro (perché mai quando si ha un gran libro a disposizione?!) alterandone sopratutto il finale ed eliminando personaggi chiave della trama immaginata da Harris (che, meglio puntualizzarlo, ha poco a che fare con la realizzazione del film). Con una sceneggiatura simile a disposizione il povero Scott cerca di cavarsela come meglio può, puntando molto sui primi piani in cerca di un'introspezione psicologica in cui però la sceneggiatura non lo supporta; anche i paesaggi non sono sfruttati come si potrebbe e si dovrebbe (passi addirittura per la campagna americana, ma con Firenze a disposizione una tale critica è inaccettabile!). Gli attori risentono della confusione che regna attorno a loro: Hopkins è come sempre a suo agio nei panni di Hannibal, ma a volte è il suo personaggio ad essere così ironico e sottile da sfiorare il ridicolo e lui può solo fare buon viso a cattivo gioco. Julianne Moore si porta dietro la grande ombra di Jodie Foster e non riesce mai ad appropriarsi del personaggio, mentre Ray Liotta è insipido così come il personaggio che interpreta. I migliori sono, assieme ad Anthony Hopkins, Giancarlo Giannini con il suo ispettore, e Gary Oldman che sotto chili di trucco se la cava meglio che può.
"Hannibal" risulta quindi una scommessa persa, e ciò è ancora più grave se si pensa che gli ingredienti per riuscire c'erano tutti. Rispetto a "Il silenzio degli innocenti", che puntava tutto sulla profonda introspezione psicologica dei propri personaggi e su una tensione viva e palpabile, "Hannibal" punta molto di più sull'inquietudine trasmessa direttamente dalle immagini, non riuscendo mai a decollare; insomma, mentre lì si era portati a percepire qui ci si riduce soltanto a guardare. Dall'interiorità più profonda si passa all'esteriorità più scialba, e sta proprio qui il principale difetto che penalizza questo film ad ogni livello.
L'unica cosa che resterà a lungo nella memoria sono le splendide musiche di Hans Zimmer, unico tra quelli coinvolti nel progetto che ne esce meglio di come vi era entrato.
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