Due gambe nude corrono di notte sul nero asfalto di una strada extraurbana di Los Angeles. Una ragazza con addosso solo un impermeabile chiede disperatamente un passaggio precipitandosi contro una Jaguar decappottabile che arriva a tutta velocità. Mike Hammer, detective privato, stavolta non è di troppe parole:"Salga"... e i titoli di testa scorrono sulla bella canzone di Nat King Cole a coprire l'ansimare della ragazza.

Robert Aldrich nel 1955 sta per entrare nel gotha del film d'autore, è infatti osannato dalla giovane e severa critica francese che darà vita alla nouvelle vague. Poco dopo esce "Rapina a mano armata" di Stanley Kubrick, e Jean Luc Godard ne bacchetta qualche banale simbologia... Com'è strana la vita, oggi invece tutti ad incensare il film di Kubrick mentre "Kiss me deadly" è quasi sconosciuto.

Ma perché il film di Aldrich fece inchinare Truffaut e colleghi? Perché dà una lezione di cinema: gli angoli di ripresa, l'uso delle luci, la messa in scena rendono talmente ricca ogni inquadratura che non sai dove e cosa guardare, con la consapevolezza e la paura di esserti perso qualcosa di fondamentale. La cinepresa è messa al livello degli occhi di Hammer semisvenuto a terra a scrutare le gambe senza vita della ragazza torturata e le scarpe dell'ignoto carnefice oppure posta al di sopra delle teste nella perquisizione dell'appartamento, la poca luce sul volto in penombra di Mike sta rilevare il senso di pericolo, lui stesso non fissa mai le persone che sta interrogando ma vaga per gli ambienti apparentemente distratto a sfogliare un libro abbandonato su una poltrona o a curiosare tra i soprammobili..

Il regista rovista un romanzo pulp di Mickey Spillane incentrato su una cassetta alla caccia della quale si scannano vari personaggi e ne fa un apologo dell'insicurezza dei tempi, la ricerca di una sorta di graal noir che porta alla distruzione. Lo stesso personaggio di Mike Hammer, quello che dovrebbe essere un magnifico perdente, così come ci hanno fatto vedere Kubrick nel suo film e John Huston in "Giunga d'asfalto", qui invece è una carogna a cui non vanno né le simpatie del regista e nemmeno le nostre. Basti pensare alla scena dove è interrogato dalla polizia dopo che la macchina in cui viaggiava è trovata distrutta in un precipizio assieme al corpo della donna. Il disgusto degli sbirri per un personaggio che vive lussuosamente, ricattando mariti e mogli infedeli con l'aiuto della segretaria amante Velda, è palpabile: "Ok, mi avete convinto di essere un verme, ora posso andare?"

Hammer non si ferma davanti a niente, usa gli altri a proprio vantaggio: la ragazza, gli amici (il meccanico Nick dal contagioso saluto va-va-voom!), gli estranei, sono solamente pedine da muovere cinicamente e a volte sacrificare sulla scacchiera della propria convenienza. L'interpretazione di Ralph Meeker è esemplare nel suo rigore nichilista ad una sola dimensione, un altro attore (come ad esempio Bogart) l'avrebbe caricata di troppe sfumature e invece un personaggio del genere non ne ha bisogno perché il regista necessita del paradosso dell'identificazione del pubblico con un protagonista negativo. Lo stesso "amico" poliziotto ne prende le distanze quando gli vede la bruciatura sul polso simile alle piaghe dei sopravvissuti di Hiroshima e gli apre gli occhi comprendendo di avere a che fare con un bullo ignorante raggirato persino dalla donna che crede una vittima: " Sta a sentire Mike, sto per pronunciare qualche parola innocua ma dal significato molto importante: Progetto Manhattan...Los Alamos...Trinity".

Ma è tardi per evitare il cataclisma finale sulla spiaggia di Malibu, anche se la gentaglia come Mike Hammer riuscirà sempre e comunque a sopravvivere al disprezzo altrui , alle pallottole e anche all'atomica.

Cult.

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