Nel 1948 Robert Capa si reca ad Haifa per imprimere nella storia ciò che avrebbe offerto la prima guerra per l'indipendenza dello stato d'Israele. Nel novembre del 1947 le Nazioni Unite avevano pianificato un programma per la ripartizione della Palestina che sfociò presto in un conflitto civile tra il versante ebreo e quello arabo. A onor del vero gli ebrei israeliani avrebbero dichiarato la loro indipendenza subitaneamente al termine della colonizzazione inglese, senza però considerare la possibile reazione funesta di un agglomerato di milizie egiziane, irachene, transgiordane e arabe.

Dopo battaglie, tregue e operazioni militari, nel 1949 con la vittoria di Israele si giunse all'armistizio per la delimitazione dei confini e la nascita di un nuovo Stato. Il conflitto costrinse all'esodo circa 710.000 arabi palestinesi, per cause derivanti dall'inimicizia all'ordinaria amministrazione bellica, attraversando razzismo, sionismo e controversie nazionaliste. E Capa, con la sua amata Leica era lì a scolpire su carta fotografica gli animi dei migranti in arrivo a Sha'ar Ha'aliyah.

Una madre e il suo bambino. Due macchie ben definite che si impongono al cielo quasi totalmente terso, se non fosse per qualche timido accenno di cirri sensibilmente spennellati. Farà caldo, chissà se di quelli sopportabili. Il bimbo sembra non patirlo. La madre ne è costretta soprattutto dal peso della valigia che le rende impervio il cammino. La strada è secca come le sterpaglie d'ornamento. C'è la polvere che aggredisce le punte delle scarpe ma non si ci fa caso. Non è il momento. Bisogna camminare e trovare una sistemazione provvisoria al campo di Rosh Hay'n.

Pochi stracci, un oggetto di valore affettivo, forse un paio di coperte, magari qualche soldo. In fuga c'è poco tempo per pensare a cosa portare al seguito. Non mi meraviglierei se in quella valigia ci fosse qualche stoviglia e almeno un pentolino per cucinare qualcosa. O magari riscaldare il latte a quel pollicino che cammina senza immaginare il perché. Questa è una foto che tocca il cuore. Almeno a chi è particolarmente sensibile. Capa scatta e trova l'anima.

Chissà se ci sarà un padre che però non è riuscito ad entrare nel cono dell'obiettivo. Speriamo. Forse è lì accanto e non si vede. Magari, essendo più forte ha qualche valigia più capace. E più pesante. In questa immagine non riesco ad avvertirlo un padre. Qualche uomo si confonde nella sfocatura di fondo. E non può essere lui.

Cammina a fianco a me e non allontanarti. Mamma non può darti la mano perché la valigia pesa e non ce la faccio a portarla con una mano sola. Aggrappati alla gonna e non lasciare. Bravo ‘a mamma.

La madre soffre sotto l'ingombro di quegli scorci, quei frammenti di vita quotidiana raccolti alla rinfusa e chiusi in una gabbia di cuoio. Sperando non abbia dimenticato nulla di utile. Si sente il respiro greve, accentuato dal calore. E quelle sopracciglia involontariamente aggrottate,  arcuate da una resistenza straordinaria. Via da casa, in cerca di un rifugio, per cause materiali ma di forza maggiore. Il piccolo ubbidisce, tiene il passo e sembra si stia sforzando per capire. Perché stiamo andando via da casa?

L'hai presa la trottola? E la pallina? Ma torniamo stasera?

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