Doveva essere l'estate di It Follows, a livello di cinema horror, ma una volta che si è visto The Witch, i dubbi sono pochi: tra i due, il grande film è sicuramente il secondo. Robert Eggers, all'esordio su un lungometraggio, costruisce un’opera molto intelligente e meditata. L'orrore va a prenderlo nella tradizione, nella religione e nell'esoterismo popolare; in questo modo si ha forte la sensazione che la minaccia sia inarrestabile e quindi il dolore ineluttabile. Non ci sono scontri materiali tra protagonisti e forze malefiche; lo scontro è soprattutto psicologico, basato sui desideri e sulle paure delle persone. In questo senso, la visione di Eggers è brillante: la strega si palesa come segnale o suggestione, come un coniglio o altro; sono poi le menti deboli o deviate delle persone a costruire l'orrore intorno a loro stesse, fino all’esasperazione, fino ad abbracciare inconsciamente le forze demoniache, che assumono l’aspetto dei loro desideri.

Le dinamiche che si sviluppano all'interno della famiglia, dopo la scomparsa del neonato Samuel, funzionano davvero bene nel mostrare il dipanarsi dell'orrore e della paranoia. Le forze del demonio si palesano di rado, l'orrore è costruito tutto sull'incertezza, sul timore che qualcosa possa succedere, sul dubbio che Thomasin sia una strega, o i gemelli Mercy e Jonas due servi di Satana. Un avvitarsi su se stessi che porta le persone a sospettare di chiunque. Questa è l'essenza del cinema horror più maturo, quello che costruisce la paura sul non detto e sul non mostrato.

A livello visivo Eggers compie quasi un miracolo, con un budget da 3 milioni. Le sequenze di vero orrore mostrato sono pochissime, ma quei pochi secondi si riverberano sul film interno, mettendo una spina nel fianco allo spettatore che quindi si ritrova in condizioni psicologiche simili a quelle dei protagonisti: teme un male che non si palesa praticamente mai. E allora ogni momento potrebbe essere quello buono per l'arrivo della strega, ma l'attesa è parimenti mortificante, se non di più.

La gestione concettuale della strega e di Satana mi pare poi sostanzialmente corretta e coerente. La possibilità di rapire solo i non battezzati, la necessità di lanciare esche per attirare le persone a sé e poi nutrirsene, le differenti sorti delle persone che invece resistono alle tentazioni della strega, fino alla scelta finale di un personaggio che dà completezza al ciclo del male. I concetti hanno una loro solida tenuta.

The Witch è forte anche perché affonda le sue radici il paure antiche. La religione è uno degli argomenti chiave e torna continuamente nei dialoghi; la battaglia implicita e costante è tra Dio e il Diavolo, nella quale i protagonisti sono solo degli ingranaggi infimi. La loro sorte è ormai a un bivio crudele: vivere nel terrore oppure farsi prendere da Satana. Sembra davvero di rivivere il Medioevo europeo più cupo, pur essendo nei primi del ‘600, in America.

Esteticamente parlando, siamo su livelli decisamente alti. C'è un minuto all'inizio in cui compare la strega che è tra le cose più potenti e disturbanti dell'anno, almeno. L’implicito terrore dato della foresta è reso benissimo, così come l'uso connotato dei paesaggi, dell'oscurità, della pioggia, del rumore, della musica. Tutto senza mai esagerare, senza strafare. Ogni momento ha le sue leve per mettere paura, non c'è bisogno di accumulare. La cena al solo lume di candela è stupenda, così come alcuni passaggi musicali e rumoristici. Capolavoro forse è la sequenza in cui uno dei protagonisti, magato dalla strega, ha le convulsioni, delira e arriva a parlare con Dio. La scrittura è efficacissima e lo spettatore va nel panico, perché si aspetta chissà quale esplosione di sangue.

Eggers gioca magistralmente con le aspettative del pubblico, e se vogliamo irride tutto quel cinema che non sapendo narrare l'orrore, pensa di poterlo mostrare con trucco ed effetti speciali. Ma la paura più grande è data in absentia, è il non sapere, il non vedere. Coerentemente, Satana non può che essere una voce nell'ombra. Oppure, ci si rifà a simbolismi e parallelismi mai troppo enfatizzati (il caprone Black Phillips, il padre come figura cristologica).

Si poteva fare meglio giusto su un paio di scelte puramente visive nel finale, che non reggono il confronto con la sequenza di sangue dei primi minuti. E forse spiegare con maggior precisione la sorte e la natura dei gemelli. Ma è anche vero che lasciare alcune questioni non spiegate è in perfetto accordo con la poetica di Eggers.

8/10

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