Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su rockshock.it

La nuova onda di Zach Rogue è finita in "Napoleon Dynamite". Il progetto non è dichiaratamente nerd o giovanilistico, come nel recente film pubblicizzato da MTV, ma il compositore di Oakland conosce profondamente le dinamiche di una vita provinciale, seppur californiana, scandita da un lirismo flebile, insinuante e retrò.

Dopo le precedenti esperienze musicali Rogue forma la "sua" vera band, e con l'apporto di polistrumentisti autoironici e scanzonati (Spurgeon, Le Bron, Farrell) realizza "Out of Shadow", ovvero una serie di sprazzi di luce estrapolati dalla materia gassosa, onnipresente e ancora esplorabile degli anni '60: le tonalità tendenti al maggiore, le frasi tra tradizione cantautoriale e folk, l'organico felicemente ovattato. Il viaggio tipicamente adolescenziale in oasi inesistenti, forse mai esistite, si scopre nel secondo long-playing, si decortica rivendicando scale discendenti e cupezze.

Già la copertina si discosta dalle follie pop, anticipata nel tratto netto, nerastro, da quella mano dal dito insanguinato di un CD singolo iniziatore di pochi mesi fa ("10:1"). Il becchino-avvoltoio pronuncia nuvole di fumo inaspettatamente dense, discende sulla semplicità quasi istituzionale degli assoli chitarristici, rivolta il senso delle filastrocche e ricorda la funzione dei cori: simili a quello snaturamento dell'intreccio Beach Boys che Brian Wilson ha effettuato lo scorso anno. Sono cori (non sempre vocali ma ideali) eco della brughiera/prateria/spiaggia, ammonimenti fantasma che calano sulle coscienze da alberi e colline per dischiudere la sonnolenza delle interiora dell'America. Se le aperture armoniche dominano ancora "Bird on a Wire" e "Publish My Love", l'avvolgente umor nero si sprigiona nelle tracce successive a testimoniare il distacco tra il mondo chiassoso e il mondo intimo dei Rogue Wave, il baratro di cui lo stesso frontman ammette l'esistenza: tra speranza e realtà.

Prima della chiusura diaristica c'è tempo per la pienezza strumentale di "You", riconciliazione dopo la caotica esperienza centrale di "10:1", piano e synth in cellule per una trance in crescendo.

(3/1/2006)

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