Nuova uscita per Rome del bardo Jerome Reuter: il musicista lussemburghese difficilmente sbaglia un colpo. Certo non tutta la sua produzione si mantiene su livelli eccelsi ma tuttavia resta sempre dignitosa. Ormai i tempi delle sonorità neo-folk e marziali dei primi dischi – quelle di “Confessions d’un voleur d’ames” e di “Masse Mensch Mateiral” – sembrano lontani: Jerome Reuter è sempre più diventato una sorta di “chanssonier” in nero più vicino a Leonard Cohen che ai Death In June, trasformazione iniziata già con “Flowers From Exiles” - uno dei suoi dischi che più ho amato - dedicato alla tematica della gurra civile spagnola - e “Nos Chants Perdus”. In realtà però ha avuto il merito di non confinarsi in una formula predefinita e statica – penso agli ultimi Death In June - ed anzi, in più di un’occasione, ha dimostrato un certo eclettismo: basti pensare ad un disco come”Hate Us And See If We Mind” del 2013 dove si avvicinava addirittura ai primi Current 93 o “The Hyperion Machine”, molto vicino a sonorità new wave. Ora è la volta del nuovo “Hall Of Thatch”, concepito durante un viaggio in Vietnam, che è sulla falsariga intimista di “Hell Money” del 2012 e “A Passage To Rhodesia” del 2014 ovvero canzoni per voce e chitarra acustica ma non solo come vedremo. L’iniziale “Blighter” è subito un piccolo classico in stile Rome, epica e convincente al punto giusto. La successiva “Nurser” è una tenue ballata caratterizzata dai suoni malinconici delle tastiere e del pianoforte mentre “Hunter” è molto cupa e apocalittica e ci mostra il suo lato più oscuro. “Slaver” è un altro affresco malinconico tratteggiato dalla chitarra acustica e precede la vera e propria sorpresa del disco ovvero “Martyr”: siamo di fronte a un pezzo devastante, con una chitarra elettrica dura e pesante come mai in passato avevamo ascoltato con Rome e non lontano da certe cose sperimentali e noise degli Swans. In “Hawker” troviamo delle registrazioni di suoni registrati in Vietnam che precedono un’altra classica ballata per tastiere e chitarra acustica seguita dalla sinuosa “Prayer”. “Keeper” è invece una canzone intensa con atmosfere desolate. La chiusura è affidata alla toccante “Clemency”, un brano in cui possiamo sentire la voce di Reuter sofferta e roca come poche volte in precedenza. In definitiva "Hall Of Thatch" conferma Rome come l’ultimo erede credibile del cosiddetto neo-folk.

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