"Why do I even bother?" Domanda da cento milioni di euro, la cui risposta è più o meno: "Boh, non lo so neanch'io di preciso, probabilmente per un ultimo residuo di curiosità, o magari per nostalgia dei bei tempi andati". Già, i "bei" tempi andati. Rufus Wainwright mi ricorda uno dei periodi più caotici e confusionari della mia "carriera" di ascoltatore musicale, i miei primi (e fasulli) punti di riferimento si stavano inesorabilmente sgretolando, ed ero alla spasmodica ricerca di una mia dimensione, aggrappandomi agli appigli più improbabili che mi capitavano a tiro, e costui è stato proprio uno di questi appigli. Lo conobbi attraverso Elton John, cui cui ebbe modo di collaborare in una bellissima canzone (The American Triangle) facente parte di un bellissimo disco, "Songs From The West Coast". All'epoca Sir Reginald definì RW il miglior songwriter della sua generazione. Sir Reginald ha recentemente definito "Born This Way" di Lady Gaga il più grande inno gay di tutti i tempi. Sir Reginald, con affetto, se ti limitassi a comporre e cantare sarebbe meglio per tutti, per te in primis. Ma torniamo a noi, o a me per meglio dire: RW un ottimo melody-maker e soprattutto un eccellente self-promoter, di certo ebbe una forte presa sulla mia psiche da tardo-teenager insicuro, sognatore ed ancora alla ricerca di un proprio perchè ma l'entusiasmo della novità svanì velocemente, giusto il tempo di un paio di recensioni (imbarazzanti) su DeB ed era già tutto finito.

Sarò pure un gran lunatico ma in fin dei conti sono uno fedele, i "miei" artisti me li tengo sempre cari e li considero i migliori del mondo anche se magari non lo sono anche quando finiscono per saturarmi e decido di accantonarli per qualche tempo, con Rufus Wainwright questo meccanismo non è scattato, anzi, ci ho messo veramente poco a capire che non era per nulla il mio tipo. Voce "pesantuccia" a parte, il problema più grosso sta in un approccio decisamente troppo lezioso e patinato: arzigogoli, citazioni colte, pianoforti, orchestrazioni e barocchismi in ogni dove, il tutto per mascherare (piuttosto efficacemente ad onor del vero) dei grossi limiti creativi ed espressivi. Stringi stringi, RW è un artista monocorde che ha basato la propria carriera sulla ripetizione e su un'eccellente cura della sua immagine, è uno dei tanti simboli di un'era di "riflusso", all'inseguimento di stilemi passati senza l'ispirazione e la spontaneità degli originali. Tanto per dirne una, la sola "Mona Lisas And Mad Hatters" del tizio citato nel paragrafo precedente è più comunicativa (e moderna) di tutto il repertorio del canadese.

Ed ora passiamo al suo ultimo album, "Out Of The Game", in cui si scopre che Rufus Wainwright è cambiato. (ullallà!) Ebbene si, niente minuetti, struggimento al minimo indispensabile, ambaradan orchestrale ridimensionato a semplice arrangiamento , l'amato ed onnipresente pianoforte riposto in soffita o quasi. "Out Of The Game" è un disco allegrotto e "sciallato" dalle sonorità tendenti ad un folk rock mezzo acustico mezzo elettrico con un po' di elettronica senza troppi orpelli, un ascolto in teoria piacevole, scorrevole e leggero. In teoria, appunto, in pratica funziona solo a spizzichi e bocconi e solo per poco tempo, anche in questo caso passato l'effetto novità finisce dritto nel cestino. Spettacolare svolta artistica con effetto gattopardo, cambiare tutto e rimanere noiosi e limitati come prima, ben fatto Rufus! Le melodie sono molto accattivanti, fatta eccezione per la titletrack ed i suoi coretti plastik-kitsch e qualche ballad noiosa come "Respectable Dive", "Song Of You" e la lunga e soporifera "Candles" quest'album non sarebbe per niente male, anzi, la fregatura è proprio... Rufus Wainwright con il suo approccio artificioso e pedante, che sembra far intravedere un guizzo, uno scatto emotivo e poi finisce puntualmente per specchiarsi beatamente nella sua immagine, senza mai affondare il colpo, incapace di concretizzare; poca energia, poca immediatezza comunicativa, grazioso ed inutile come un soprammobile, eterno incompiuto.

Melodie veramente notevoli come "Jericho", "Barbara", "Welcome To The Party" e "Montauk" avrebbero meritato uno sviluppo più degno, in mano ad un Al Stewart avrebbero avuto ben altra efficacia ed impatto emotivo, con RW ache questi buoni spunti finiscono perdendosi in un marasma di stucchevolezza, quindi posso finalmente dare il mio addio senza rimpianti a questo sopravvalutatissimo Mika per "palati fini", che ricorderò come una fugace infatuazione adolescenziale (un po' come gli 883 per le persone normali). "Out Of The Game" ma soprattutto "Out Of My Life", questa volta definitivamente e senza rancore.

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