2.965.471.850 dollari.
Questa è l'astronomica cifra incassata a tutt'oggi dai sei film della serie su Rocky Balboa. Un personaggio che quest'anno compirà quarant'anni. Quarant'anni di successi e, com'era giusto che accadesse, anche di cadute. Così com'è accaduto al suo creatore. Sylvester Stallone quest'anno compirà settant'anni e da una decina d'anni sta vivendo una seconda giovinezza cinematografica. La serie de "I mercenari" e qualche buon film d'azione lo hanno riportato in auge dopo che nella seconda metà degli anni '90 era iniziata una lenta discesa nel cassetto dei flop di Hollywood, da cui è molto difficile uscire. Eppure lui, Sly, ce l'ha fatta a risalire a galla, e lo ha fatto ripartendo da dove aveva cominciato: da Rocky. Dopo aver incassato una lunga serie di no, nel 2006 riesce finalmente a riportare sullo schermo il pugile di Philadelphia per un ultimo incontro, al limite del realismo, un pò scontato e con molte cose sentite e risentite. Ma efficace. Tanto da risollevare la carriera di Sly, a dimostrare che nel bene o nel male, quest'uomo è riuscito a creare un'icona di quelle che restano, e che alla gente fa sempre piacere ritrovare per un'ultima volta.
Anno 2015: Ryan Coogler, giovane regista il cui primo film è stato un successo e ha riscosso critiche molto positive, come secondo tassello della propria carriera cinematografica sceglie di far ripartire il franchise di Rocky; e qui cominciano tantissime difficoltà. Deve scontrarsi con i produttori che ritengono un ennesimo film su Balboa una follia e con lo stesso Stallone che gli fa chiaramente capire che col sesto film della saga di Rocky ha detto tutto quello che aveva da dire e che lui, Sly, lo considera un discorso chiuso. Ma l'idea di Coogler è un'altra: per far ripartire il franchise di Rocky il giovane regista si propone di spostare l'attenzione su un nuovo personaggio. E così crea Adonis Johnson, figlio illegittimo di Apollo Creed, il primo, grande avversario di Rocky. Dopo tante insistenze Coogler la spunta, ottenendo sia il sì della produzione che quello di Stallone, che accetta di rivestire i panni di Rocky per poter gettare una nuova luce sul proprio personaggio. Anche perché stavolta, per la prima volta dovrà occuparsi solo del lato recitativo, lasciando la sceneggiatura e la regia a qualcun altro.
La trama è abbastanza semplice: Adonis, figlio illegittimo di Apollo cresciuto tra istituti e riformatori, decide di intraprendere la carriera che era stata del padre, cercando comunque di tenere segreto il suo legame con Apollo, a causa della pressione che questo nome comporta. E per farlo si rivolge all'unico uomo che potrebbe essere disposto ad allenarlo, ovvero a Rocky Balboa che, dopo aver superato molti dubbi, accetta di allenare il figlio del suo grande amico scomparso, aiutandolo anche ad approfondire i suoi sentimenti verso il padre mai conosciuto e a liberarsi della grande ombra che quest'ultimo getta. A complicare le cose arriva però la notizia di una grave malattia di Rocky, che accetta di farsi curare solo dietro le grandi insistenze di Adonis, che ormai è l'unico motivo che gli resta per andare avanti. Così il film svilupperà un efficace parallelismo tra la lotta di Adonis per emergere e quella di Rocky per restare in vita, fino all'incontro finale, che per entrambi rappresenterà un punto di svolta.
Molto diverso dai film precendenti della saga, "Creed" è un film duro, efficace e impietoso nel mostrare le debolezze insite nella condizione umana così come è semplice nel mostrare ciò a cui un uomo può aspirare. Nel corso delle due ore circa di cui è composto, il film si riappropria poco a poco di tutti gli elementi caratterestici della saga, aggiungendo però moltissimo per cercare di distaccarsene e rappresentare qualcosa di nuovo: una nuova colonna sonora (anche se il famoso tema di Bill Conti ritornerà per breve spazio di tempo), un approfondimento della dimensione interiore dei suoi personaggi degna, se non migliore, di quello del primo film, una regia più asciutta e allo stesso tempo più attenta, più particolare e memorabile, nuovi personaggi ben delineati e tratteggiati che potrebbero tornare utili nel caso in cui si volesse far diventare "Creed" una saga a sé stante, erede della prima. Insomma, per chi ha visto i precendeti film su Rocky sarà impossibile non considerare "Creed" come un tentativo riuscito, nel bene e nel male, di ridare vita ad un franchise che tutti credevano finito riuscendo finalmente a dire qualcosa di nuovo in modi nuovi e soprattutto di distaccarsi dalla saga di Rocky pur conservandone e amplificandone gli elementi che l'avevano portata al successo.
Tecnicamente il film è realizzato molto bene, in special modo per quanto riguarda gli incontri di boxe, vissuti quasi in prima persona e girati con una tecnica e uno stile assolutamente inediti rispetto ai precendenti film. Il cast è di ottimo livello, con l'ottimo protagonsita Michael B. Jordan che si conferma sugli ottimi livelli recitativi già visti finora, sottoponendosi anche ad un massacrante allenamento fisico per risultare credibile nella parte (i suoi avversari non sono impersonati da attori professionisti ma da veri pugili). Una menzione a parte merita Sylvester Stallone. Il Golden Globe 2016 come miglior attore non protagonista e la candidatura agli Oscar 2016 nella stessa categoria sono il giusto riconoscimento ad una performance decisamente sopra la sua "media recitativa", probabilmente la migliore della sua carriera. Per la prima volta affronta un personaggio in disfacimento che deve fare i conti col suo mondo andato in pezzi e che non sa più dove attingere la forza per rialzarsi; un disfacimento che Stallone rende evidente attraverso un processo di decadimento fisico che la sua recitazione dura e commovente riesce ad esaltare, trasformando quelle che fino a oggi erano state menomazioni per la sua recitazione in punti di forza.
Riassumento, nel bene e nel male, non sarà un capolavoro ma è un tentativo coraggioso che va a riesumare una storia in cui nessuno credeva più. Un tentativo riuscito, oltretutto. Un film da vedere.
Come voto sarebbe più giusto un tre e mezzo che un tre.
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