Primo e carichissimo album dei Santana, l'ultima grande band della lisergica San Francisco, niente a che vedere col Santana venduto dei duetti con Sean Paul o Joss Stone. Vibrante, caldo, erotico: irresistibile.
Ottobre 1966, due ragazzi, Carlos Santana e Stan Marcum sono al Fillmore per sentire la Butterfield Blues Band, al termine del concerto Mike Bloomfiled organizza una jam session a cui partecipano tra gli altri Jerry Garcia e Jack Casady, Marcum sapendo che l'amico è troppo timido per farlo, chiede a Bloomfield se Carlos avesse potuto partecipare alla jam. Bloomfield accetta, il piccolo chitarrista fa faville e viene notato da Gregg Rolie, il futuro tastierista che, dopo il concerto chiede al giovane Santana di entrare nella sua band.
Passati tre anni da questo episodio, ribattezzatisi prima Santana Blues Band e poi semplicemente Santana, pubblicano quest'album rodato sulle esplosive jam sessions che eseguivano dal vivo nella Bay Area; chi si aspetta un soffice disco di canzoni romantiche sbaglia di grosso: questo disco è groove e rock. Molto rock. Musica che fa impazzire i cinquecentomila di Woodstock e convince i dirigenti della Columbia scettici riguardo al materiale a pubblicare il disco visto lo sconvolgete risultato del festival; chiunque abbia mai visto le immagini di loro che suonano "Soul Sacrifice" al mitico concerto mi darà ragione nel dire che siamo di fronte ad una formazione eccezionale, capace di salire su un palco da sconosciuta e scenderne con un milione di copie vendute.
La base su cui tutto si appoggia sono i riffoni di organo e basso sui quali gli assoli di Carlos, graffianti e molto blues descrivono paesaggi atzechi dipinti dalla mescalina, fiamme che bruciano nel mezzo del deserto arse solo di passione, sesso mistico; il lavoro della sezione ritmica è eccezionale, procede costante per tutto il lavoro senza mai dare alcun segno di stanchezza, tra tutti è da segnalare il mirabile lavoro di Mike Shreive che riesce con la sua batteria a condire perfettamente le congas e le timbales libere di fraseggiare in battaglie ritmiche spellamani cosa buona dato che il loro obbiettivo principale era trasmettere su album ciò che facevano dal vivo, forse un pò la nota dolente del disco è che questa intenzione fa si che tutti i brani siano stati realizzati in presa diretta quindi con pochissime variazioni nel sound della band.
Il fraseggio di Santana manca di quella tecnica caratteristica per cui chiunque lo riconosce tra mille; si basa più che altro su pentatoniche blues minori e logicamente, su scale doriche che danno un andamento sofferto, su cui si riconoscono alcune figure più tipicamete mariachi che non rock.
Un altro punto negativo di questo disco è che la struttura dei brani si ripete spesso, infatti la figura secondo grado-quinto grado tipica della musica afrocubana è presente in quasi tutti i brani, c'é da aggiungere che i Santana sono molto bravi nel non farlo notare, infatti pure io me ne sono reso conto solo dopo, leggendo le partiture.
In conclusione, un disco che ti colpisce per il ritmo e che si ascolta benissimo, senonchè la produzione poco curata, tende a far suonare tutto l'album un pò tutto uguale, ciònonostante un classico della musica anni '60-'70.
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