I paesaggi lussureggianti e le pozze di sangue. Lo Stato, la legge, il rancore e la forza, la violenza. Clamoroso ritorno ad altissimi livelli per Scott Cooper, dopo il passo falso di Black Mass, Hostiles riprende e amplifica tutti i pregi di Out of the Furnace. Un film bellissimo da vedere, composto, elegante e rigoglioso. Riempie gli occhi con paesaggi splendidi, usati come perfetto controcanto del dramma umano che si consuma durante il viaggio del capitano Blocker per accompagnare a casa un capo Cheyenne, nel Montana.

Una discesa agli inferi, ma per arrivare a una redenzione dalle infinite colpe di un uomo bianco che giustifica la violenza con lo Stato, la legge. Le prove da superare saranno tante e dolorose, colpi d'ascia che amputano un pezzetto alla volta dell'anima del duro capitano, magnificamente impersonato da Christian Bale. Un viaggio che è un trattato dettagliato sull'arroganza dell'uomo bianco, ma di più, è una visione dell'uomo e dei suoi tanti modi per giustificare la violenza. La giustizia, la legge, lo Stato, e poi la vendetta, la presunta necessità di difendere il proprio territorio. E la violenza come processo di inaridimento dell'animo umano: dopo un po' non si prova più niente, si ammazzano “donne, bambini, di ogni età e colore”, senza provare il minimo rimorso. Ma si continua a soffrire quando a morire sono i propri compagni. La vendetta è accettata solo a senso unico, quando sono i pellerossa a compierla è solo l'ennesima dimostrazione del loro essere malvagi.

Un magnifico percorso di redenzione, di comprensione dei propri errori. Eppure lo Stato, per quanto violento e scellerato, sta cercando di trovare una razionalità. Non senza creare nuove contraddizioni e attriti: come evidenzia il prigioniero, i massacri compiuti a fianco del capitano sono accettabili, quello compiuto dopo, da lui solo, no. Sono i limiti e le distinzioni a volte stucchevoli di uno Stato che si sta cementando, che non è ancora stabile nelle sue convenzioni e imposizioni e quindi ha ancora ampiamente bisogno di una forza anche scellerata e vendicativa. Arrivati in Montana, i proprietari di un grande terreno dicono al capitano che lì non esiste lo Stato, non esistono documenti e leggi. Di fronte al rifiuto dell'autorità statale, la violenza è l'unica via. Ogni forma istituzionale nasce da una pura espressione di potenza, altrimenti ogni uomo farebbe stato a sè.

Il film infila tutta una serie di argomenti interessanti senza appesantirsi e diventare verboso e freddo. L'azione è sempre vivida, il dramma funzionerebbe benissimo anche senza tutto il suo ampio sottotesto filosofico. Merito anche di attori splendidi e di una costruzione equilibrata delle vicende: il sofferto personaggio di Rosamund Pike è poesia pura e traccia quasi una vicenda parallela – e complementare – a quella del capitano. Una donna d'una dignità spaventosa, prostrata, annichilita, trasformata quasi in animale, con gli occhi strabuzzati e la rabbia che le pulsa nelle vene. Ha un'evoluzione troppo bella per essere vera, iperbolica, ma lo stesso succede al capitano. Perché si vuole rappresentare con figure emblematiche il processo di affermazione dei principi di civiltà in America, la civiltà sbocciata dai grumi di sangue. Un po' come There Will Be Blood, ma senza dio.

7.5/10

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