La scelta sul palmo ossuto di uno scheletro. L'uomo, la donna o il nonno. Il primo, nerboruto, bronzeo, armato di spada con delle doti straordinarie legate ai movimenti tellurici, di potenza crescente in base alle pozioni utilizzate. La seconda, sicuramente bella, slanciata, anch'essa armata di spada e abile nel maneggiare il fuoco. Quando invoca il drago sono guai seri. Il terzo, simpatico, navigato, vecchio vichingo, armato di ascia e abile nelle capriole, con una particolare predilezione per l'elettricità naturale. Soli contro una ridda di nemici innocui e non per vendicare la morte di un compagno e portare in salvo re e regina.

Dalle lande desolate popolate prevalentemente da carogne armate di mazze ferrate o fagotti, si passa attraverso boschi dall'atmosfera spettrale. Spesso ci si imbatte nella popolazione rurale in fuga. Poco tempo a disposizione per far riposare le ossa dove si viene tra l'altro disturbati da quei velocissimi folletti che ti promettono pozioni e cosciotti di pollo a suon di bastonate.

L'avventura è lunga e pericolosa. Si rischia parecchio sul dorso della testuggine contro le troie armate di alabarda, i giganti mongoli armati di martello, sempre pronti a sghignazzare quando riescono a piantarti nel terreno o a farti volare in aria come un fuscello. Almeno in aiuto ci sono le fiere fantastiche cavalcate dai nemici. Feroci sotto dominio e docili quando rimangono in attesa di occupazione. Il "canarino" famoso per i piroettanti colpi di coda, il drago blu e quello rosso. Il primo poco efficace per la fiammata limitata e il secondo, ricercatissimo per le sfere da lanciare a distanza. E poi "gli spadoni", vere montagne di ferro che possedevano una simpatica armetta bianca capace di coprire, affettando, almeno mezzo quadro. E il temutissimo dorso dell'aquila. Il cimitero vivente. Maledetti scheletri armati di scimitarra e scudo, dall'indole estremamente grandguignolesca. I peggiori erano quelli neri, che apparivano all'improvviso e ancora più violenti, così come per i fantasmi dei mercenari incontrati all'inizio, quelli che quando spiravano sembrava dicessero "ciao mamma".

L'ultimo volo alla corte dell'incubo. Il litico fortino di Death Adder! Quel gigante generato da decine di serpenti velenosi, con quell'accetta bifronte che non prometteva nulla di buono. Attorniato da un nutrito pugno di fedelissimi pronti a farti visitare il mondo dei vinti. L'obiettivo era raggiunto quando, sfiancato dai fendentii, vedevi librarsi in aria quel gigantesco accettone per poi piombare conficcandosi letalmente nel suo poderoso torace. Missione finita. Tutti a casa ad ottenere gli allori del reame.

Straordinario videogioco tridimensionale incentrato su una fantastica avventura dal sapore medioevale. Forse più semplice se giocato in coppia, dove puntualmente sceglievo il guerriero con una probabile punta di malcelato maschilismo (anche se la più potente era la donna). Qualche decina di santi rimanevano appiccicati allo schermo quando si veniva colpiti dal martello dei mongoli o dallo spadone dei giganti corazzati. Per non menzionare la discesa dall'aquila ad un passo dalla fine. Per incontrare sorella morte bastava appesantirsi sul joystick verso il basso e giù nello strapiombo oltre la passerella. Le invettive si sprecavano. E gli scheletri, quanto mi hanno fatto incazzare! Veloci, agili, capaci di imitare le tue stesse facoltà di combattimento e letali quando spiccavano il volo per poi crollare sul tuo cranio con la spada rivolta verso il basso. Non avrei mai creduto che per eliminare Death Adder bastava costringerlo con le spalle al muro e affettarlo al volo appena accennava ad alzarsi.

E la migliore arma d'attacco era la rincorsa con spallata finale. Amarcord!

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