Dobbiamo incontrarci, tu e io. Insieme, faremo sgorgare scintille da questa musica!...

Potrebbe essere stata tolta, questa frase, da un dialogo immaginario, da uno scambio epistolare, da una telefonata tra i due grandi musicisti. E non è del tutto fuor di luogo pensare che qualcosa di simile si siano detti, Sergey Rachmaninov e Vladimir Horowitz, che nutrivano un'ammirazione di certo straordinaria l'uno per l'altro.

Quando i due si incontrano di persona per la prima volta, Rachmaninov si trova già negli Stati Uniti da una decina d'anni. Ha lasciato la patria Russia nel 1917, fuggendo dagli sfaceli e dai morti della Rivoluzione d'Ottobre. "Non l'aveva capita", scrivono i biografi russi. Se ne va dalla Russia con la famiglia. È prima in Danimarca, dove si dà a un'intensa attività concertistica, poi, nel 1918, si trasferisce negli Stati Uniti, che diventa la sua seconda patria. Il suo successo negli Usa è immediato, enorme, mai prima di lui un pianista straniero, non diciamo poi sovietico, è riuscito a diventare così celebre e ad essere acclamato dal pubblico in così breve tempo.

La sua prima volta in America è nel 1909. Già acclamatissimo, per tre mesi calca i palcoscenici dei teatri e delle sale da concerto statunitensi, dando quasi un concerto al giorno. Il 28 novembre di quell'anno presenta a New York, in prima assoluta, il "Terzo Concerto" con la direzione di Walter Damrosch, che aveva lavorato con un altro grande inventore di temi musicali, George Gershwin. Poi, nel gennaio dell'anno successivo, 1910, c'è una seconda grande presentazione del concerto alla Carnegie Hall. L'orchestra è la New York Philharmonic. Dirige niente meno che Gustav Mahler. Altro esempio di profonda ammirazione reciproca fra due musicisti di prima grandezza.

Il "Concerto n. 3, op. 30 in re minore" è il vero trait d'union tra Rachmaninov e Horowitz. Horowitz lo porta come saggio d'esame per il conseguimento del diploma al Conservatorio di Kiev, nel 1919. La musica di Rachmaninov gli entra nel sangue, in seguito considererà quest'autore fra i preferiti di sempre.

Preceduto dalla fama di pianista eccezionale, virtuoso, coinvolgente nella sua passione interpetativa come un fuoco che divampa, Horowitz, anche lui emigrato prima in Europa occidentale, poi, dal 1927, negli Usa, cattura ed entusiasma nelle perfomance dal vivo, si conquista l'attenzione del pubblico, della critica, e di alcune delle personalità più in vista dell'establishment musicale. Lo nota Arturo Toscanini, che diventerà suo amico, oltre che suocero (Horowitz sposa Wanda, la figlia del grande direttore d'orchestra italiano, nel 1933). Lo vuole, per interpretare il suo "Terzo Concerto", Rachmaninov. Rachmaninov ha scritto questo concerto nel 1909. Senza riuscire a dargli gli ultimi ritocchi, si imbarca sulla nave che, solcando l'Oceano Atlantico, lo porterà negli Stati Uniti. Sulla nave non ci sono pianoforti. Rachmaninov perfeziona il concerto suonandolo, si fa per dire, su una tastiera finta.

Questo concerto affascina. Ci sono momenti in cui sembra che si scateni una bufera di passioni. In diversi passaggi è concitato, vertiginoso. Rachmaninov fino a quel momento ha eseguito questo concerto egli stesso. È il suo cavallo di battaglia. Lo usa per dare il "colpo di grazia" al pubblico che attende sempre, da lui, il pezzo di bravura suprema. Verso il 1930 fa un gesto di grande generosità e coraggio: lo "dona" a Horowitz, che, da poco arrivato negli Usa, ha maledettamente bisogno di un piatto forte nel proprio repertorio per attirare un suo pubblico.

Per interpretare al meglio questo concerto c'è bisogno di un pianista tecnicamente ineccepibile, di grande talento, e però giovane, energico, impetuoso. Chi più di Vladimir Horowitz può essere all'altezza del compito? Il giovane pianista ucraino, che acquisterà la cittadinanza statunitense nel 1944, si innamora letteralmente di questo concerto. È lui a darne la prima incisione fonografica in assoluto, nel 1930, e poi la memorabile interpretazione dell'8 gennaio 1978 dal vivo, documentata in questo CD, data per il cinquantesimo anniversario della sua prima alla Carnegie Hall con la New York Philharmonic. Per questa occasione si sceglie anche il direttore d'orchestra: è Eugene Ormandy, che aveva accompagnato Rachmaninov per l'incisione fonografica dell'opera.

Va detto subito che questa interpretazione di Horowitz non è forse la migliore in assoluto, da un punto di vista filologico, del "Terzo Concerto" di Rachmaninov. Alcuni commentatori ritengono che, sotto questo aspetto, una delle esecuzioni più pregevoli è quella dei russi Lazarev e Gavrilov. Altri osservano come Horowitz tenda a "sporcare" lo spartito nei passaggi veloci. Ma nessuno fino ad oggi è riuscito, come Horowitz, a rendere l'interpretazione di questo concerto in tutta la sua espressività, l'immediatezza, la foga e la varietà di sfumature che erano previste nell'intento originario dell'autore.

Ricordiamoci che Rachmaninov, ancor prima di essere l'ultimo dei grandi pianisti romantici, è soprattutto un compositore diretto, immediato, scevro da qualsivoglia intellettualismo. "Scrivo la musica che sento dentro di me, nel modo più naturale possibile. (...) La mia musica è il prodotto del mio temperamento", scrive il musicista nel 1940. Per questo l'interpretazione di Horowitz è perfettamente in sintonia con lo spirito e l'energia di questo spartito, che ci fa stare immoti ad ascoltare questa musica, catturati dallo stupore suscitato dal virtuosismo del pianista, dalla prima nota all'ultima della sua performance.

La qualità della registrazione di questo CD non è sicuramente impeccabile, nonostante le ripetute pulizie e i remastering che intere squadre di tecnici del suono hanno effettuato sulle tracce. Il suono del pianoforte di Horowitz, però, si staglia ancor oggi incredibilmente vivo, multiforme, vibrante. E qua e là, le inspirazioni, le espirazioni degli orchestrali, dello stesso Horowitz, forse, i tossicchiamenti del pubblico ci ricordano che stiamo ascoltando veramente una rappresentazione dal vivo.

Se i puristi potranno per certi aspetti muovere degli appunti a questa rappresentazione di Horowitz, non potranno però disconoscere la sua straordinaria capacità di rendere la partitura rachmaninoviana, la sua profondità, la brillantezza, la varietà delle immagini create dalle coloriture timbriche, l'ampiezza del registro drammatico, la febbrile urgenza di rappresentare stati d'animo diversi, e, soprattutto, il lirismo appassionato e visionario. Tutto questo attraverso le note, note che si susseguono ora pacate, ora in scrosci improvvisi e frenetici, richiedendo il costante apporto di un virtuosisimo nell'esecuzione, da parte del panista solista, non minore di quello di cui, com'è noto, era capace l'autore.

Alla luce di queste considerazioni fa quasi meraviglia constatare come questo "Terzo Concerto" si apra all'insegna della semplicità (primo movimento, "Allegro ma non tanto", 16'44), anche se i soliti commentatori si affrettano a sottolineare che si tratta di una semplicità solo apparente. L'orchestra esegue un motivo ritmico di due(!) note, sul quale si apre la testura armonica del pianoforte solista, ma, dopo solamente una cinquantina di secondi dall'inizio, l'atmosfera si anima, si vivacizza. Questo motivo di due note è portante e ritornerà in tutta la composizione, anche invertito. Da qui in poi il pianoforte esegue un primo tema dove prevalgono gli accenti malinconici. Ma il virtuosismo crescente ha il sopravvento e si risolve in un assolo di pianoforte senza accompagnamento.

Il passaggio al secondo movimento ("Intermezzo: adagio", 11'40) è realizzato tramite un bridge di archi, che di nuovo danno una coloritura malinconica e introspettiva all'impianto melodico. Dopo l'escursione lirica dell'orchestra, l'andamento si fa tempestoso, la melodia si rompe, sovrastata da un'atmosfera di mistero, cupa e minacciosa. Di nuovo un assolo di pianoforte, che riprende il tema del primo movimento. Ed è ora la volta della nostalgia, quella vera, profonda. È il pianoforte che fa tutto, in un passaggio che va verso l'idillio. La passione cresce. Sublime. E questa volta la chiusa è molto cadenzata, ha un che di militaresco.

Il terzo movimento, ("Finale: alla breve", 14'51) si apre con una melodia dai toni molto caldi, che si sviluppa in una serie di variazioni del medesimo tema. All'improvviso la tensione aumenta, vengono ripresi i temi dei movimenti precedenti, il pianoforte esegue una cadenza insistente, fino a sfociare in una chiusa maestosa. Horowitz si avventa sui tasti del suo pianoforte , il finale è turbinoso, accentuato dall'incalzare delle rullate dei timpani e dai ripetuti colpi di piatti. Fine. L'applauso del pubblico è deflagrante. L'estasi e lo stupore, trattenuti per tutta l'esecuzione del concerto, si liberano sotto forma di acclamazioni urlate gioiosamente. Quella sera dell'8 gennaio 1978, più di qualcuno tra il pubblico deve avere avuto l'impressione che l'entusiasmo alle stelle stesse facendo crollare i muri della Carnegie Hall.

In questo CD si può anche ascoltare un'altra pregevole esecuzione dal vivo (1980): la "Sonata per pianoforte, n. 2, op. 36 in si bemolle minore", sempre con Horovitz solista, che Rachmaninov scrisse tra il gennaio e l'agosto del 1913. Questo brano è interessante perché testimonia della stretta collaborazione tra Rachmaninov e Horowitz. Il compositore accettò i suggerimenti delll'amico pianista, che gli proponeva di tornare alla prima concezione di questa Sonata, mentre Rachmaninov aveva nel tempo proceduto a successivi rimaneggiamenti per renderla più adatta ad essere rappresentata dal vivo.

Il CD è finito. La musica sublime di questo "Terzo Concerto" adesso tace. Restano le impressioni. Per alcuni istanti, giorni, o per tutta la vita, mi rimarranno gli echi della voce mutevole e calda del pianoforte di Vladimir Horowitz che suona il "Terzo Concerto" di Rachmaninov. Sono felice di averlo ascoltato. Vorrei molto che questa mia felicità potesse venir condivisa da chi lo ha ascoltato a sua volta. E da chi lo ascolterà.

 

Solo una piccola nota a margine: nel testo ho scelto la grafia "Rachmaninov" in luogo di "Rachmaninoff", che si trova nella letteratura angloamericana, perché la prima versione corrisponde alla traslitterazione dal russo più comunemente accettata in italiano.

Rachmaninoff, "Piano Concerto No. 3", "Piano Sonata No. 2", Vladimir Horowitz, New York Philharmonic, Eugene Ormandy - 2004, BMG Music

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