È il 1970 e il ’68 non è ancora terminato. Troppe le cose da fare, da sistemare, da rimettere a posto. Le occupazioni universitarie, i cortei, le proteste operaie. Tutto molto bello, ma non bastava. Non poteva bastare. La colonna sonora era quella che era: serviva altro. I festival di Newport, Woodstock, isola di Wight, Monterey erano troppo lontani. Da noi Sanremo e Cantagiri. Bisognava accontentarsi. Poi i raduni pop invadono anche il Belpaese. Da nord a sud. Si parte da Roma il 4 febbraio 1968: un flop senza precedenti. Un anno e mezzo dopo il testimone passa a Palermo: allo stadio la Favorita è il momento di “Pop 70”, dal 17 al 19 luglio. Andrà decisamente meglio.

Un festival pazzesco, pieno di sorprese, che Sergio Buonadonna, storica penna del quotidiano L’Ora, ricostruisce tra le pagine di “Quando Palermo sognò di essere Woodstock” (Navarra Editore, 2020). L’idea parte da Joe Napoli, impresario italo-americano con alle spalle alcuni raduni già organizzati, con un buon successo, in Belgio. Nel capoluogo siciliano, Napoli trova terreno fertile: in poco tempo, pur tra tante difficoltà, riesce a mettere su un festival di tutto rispetto. Sul palco della Favorita saliranno niente meno che Aretha Franklin, Duke Ellington, Brian Auger, Tony Scott. E poi Arthur Brown, George Fame, Johnny Halliday. Oltre a tanti italiani, dai Ricchi e Poveri a una giovane Giusy Romeo (la futura Giuni Russo), da Little Tony alla fischiatissima Rosanna Fratello. A presentare la signorina buonasera Mariolina Cannuli, il jazzista Carlo Loffredo e un giovane Paolo Villaggio. C’è di tutto un po’, dal jazz al rock, con qualche timida apertura verso le nuove sonorità. Tre giorni intensi, non privi di incidenti di percorso. Franco Trincale finirà in questura per aver urlato “Nixon boia”, Arthur Brown sarà addirittura arrestato sul palco (da Boris Giuliano) dopo aver osato denudarsi.

Buonadonna, presente all’avvenimento, è bravo, dall’alto di una scrittura scattante e agile, a ricordare, a rimettere assieme i tasselli, a citare aneddoti (alcuni dei quali piccanti…), a catturare una serie di testimonianze. Si parla di musica e di musicisti ma il libro è anche l’occasione per occuparsi di mafia, di una Palermo vittima del sacco e di una fase storica che vedrà il nostro Paese al centro di un cambiamento profondo. Il Festival di Palermo vedrà la luce anche nei due anni successivi alla prima edizione, ma in tono minore. I tre giorni del 1970 avevano già detto tutto e daranno la stura ai vari festival di Caracalla, Licola e Parco Lambro. E non è poco, davvero.

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