Regista singolare, in grado di passare attraverso i generi più vari, con degli alti e dei bassi da capogiro, Sergio Corbucci ha espresso nel western un aspetto della sua personalità artistica unico nel panorama internazionale del genere. Il 1968 è l'anno della maturità del western italiano; le opere di questo genere prodotte fino ad allora, a partire dal fatidico 1964, erano innumerevoli e l' esaurimento del filone d'oro, seppur all'orizzonte, rimaneva celato.
Nel 1968 Leone realizzava, in collaborazione con Dario Argento e Bernardo Bertolucci, il suo film piu' maturo, il farraginoso ma affascinante "C'era una volta il west", biglietto da visita per l'estero di una produzione nostrana "alta". Nello stesso anno Corbucci porta alla pienezza quel microcosmo di temi che hanno caratterizzato il suo modo di vedere le storie di frontiera, iniziate con "Django". Laddove Leone era solare, brullo, vitale nell'altro regista romano troviamo fango, pioggia, disperazione.
In questa pellicola addirittura è la neve la crudele protagonista; un'anomalia nel nostro western, così legato a Leone e a quel sapore "meridionale" che hanno le locations.E anomalia è anche nella storia: è la neve, imprevista, che costringe dei fuorilegge (o presunti tali) a rifugiarsi nelle montagne dello Utah e a vivere braccati, in un periodo in cui i bounty killers facevano affari d'oro con le loro taglie. Vivi o morti; preferibilmente morti (per citare Tessari). Piu' facile convincerli a trascinarsi davanti alla legge, facili da conservare sotto la neve durante la spietata messe. I rifugiati assoldano un pistolero, Silenzio, la cui mira pare infallibile e che ha la passione di far saltare i pollici, impedendo di poter sparare. Taciturno, vestito con una pelliccia da donna, tutto nero ma col volto mite e triste di Jean Louis Trintignant, Silenzio è un paladino per questi disperati.Nemesi di Silenzio è Tigrero (Klaus Kinski, magnifico): voce melliflua, modi gentili, cappello da prete, è un feroce e sanguinario predatore ma agisce a norma di legge.Il terzo uomo è uno sceriffo (Frank Wolff) dai modi contadini ma coraggioso, volto ottuso dell'onestà.
Durante una caccia all'uomo, Tigrero reca con sè la moglie di un bandito, una nera (Vonetta Mc Gee), diversa tra i diversi e fa attirare a sè il marito, che viene trucidato dal cacciatore di taglie. La vedova giura vendetta e recupera Tigrero per commissionargli il regolamento dei conti.Mi fermo qui, perchè davvero è un film pieno di tragiche sorprese; questo lavoro è uno dei western piu' amati al mondo, tanto da far dire a molti che Corbucci è stato il miglior direttore del genere avuto in Italia, anche migliore di Leone.
Certo è meno conciliante, e questa pellicola ne è la prova; la durezza del paesaggio (gli esterni sono girati a Cortina d'Ampezzo ma sono credibili) è l'anima della durezza delle vicende della storia. La violenza intrinseca al mondo americano si sprigiona subdola e terminale, benedetta dalla legge e quindi in regola. I vinti non hanno chances.
L'idea di questo film viene da Marcello Mastroianni, che avrebbe dovuto in un primo momento interpretare Silenzio (l'altro candidato era Franco Nero, però impegnato in un altro set); la scelta di Trintignant si rivela perfetta in quanto incarna un eroe fragile e con un terribile segreto nel suo passato.
Il rapporto che si instaurerà tra Silenzio e la vedova Pauline (bramata dal padrone della città, l'usuraio Pollicut, interpretato da Luigi Pistilli) è più da naufraghi che da amanti. Tutto è buio, malcerto. La fine è sempre a un passo dalle loro esistenze. Motivi questi che non gioveranno al botteghino: il film non avrà gran successo e il regista inizierà a produrre western commedia, sempre prodotti e realizzati con grande cura e senso dello spettacolo. "Il mercenario", "Gli specialisti" e il più celebre "Vamos a matar companeros" saranno film proverbiali ("Specialisti" a parte, curioso per la presenza di un efficace Johnny Halliday ma piu' debole) e divertiranno le affollate sale dei bei tempi passati.
"Il grande silenzio" è decantato di anno in anno fino ad essere considerato il capolavoro di Corbucci; sebbene leggermente sopravvalutato è un film unico nel suo genere e la sua amarezza è profonda e rara in una pellicola "d'intrattenimento". Valga per tutte la scena iniziale; accompagnata dallo struggente tema di Ennio Morricone (uno dei suoi temi più belli) Silenzio arranca tra la fitta coltre di neve e la rete degli abeti; uscito dal groviglio quasi impraticabile, immerso nel biancore e senza panorama altro che neve, neve neve e ancora neve, cade da cavallo. Lo spirito del film è felicemente racchiuso in questo malinconico prologo.
Un film che non assomiglia a nessun altro.
Carico i commenti... con calma