Sulla fabula non ci dilunghiamo, essendo ormai nota: il maturo Luigi (Fabrizio Bentivoglio) cala nelle avite Puglie per passare alcuni giorni coi due fratelli; ne scaturiranno beghe impressionanti e nodi non sciolti, vecchi di decenni, tra di loro, e tra un quarto fratello, e tra essi e le eredità familiari, "eredità" in ogni senso, non solo materiali... Tutto ruota attorno alla meravigliosa masseria di famiglia, e ai problemi di usura di uno dei protagonisti. Luigi dapprima prenderà gusto a far da mediatore, per scoprire di essere proprio una parte di quel mondo, ben di più di quanto non pensasse.
Quel che resta del film, nella sua compattezza, è più che altro l'evidenza reale, narrativa e simbolica dei rapporti e della possibilità che si ha di dare una svolta, di sparigliare le carte anche in presenza di un passato incancrenito, e che, dunque, non si riesce a far passare; forse proprio perché non se n'era mai parlato.
Appare ovvio, in un primo momento, che l'unico a voler mettere un po' di lucidità, usare un po' di distacco nel groviglio di rancori ed interessi, sia appunto Luigi, l'unico che se n'era andato anni e anni prima, allontanato in un collegio del Nord proprio a causa d'un suo gesto di ribellione contro la violenza domestica del padre e il tradimento (da cui nascerà il fratello bastardo Aldo), ed ora l'unico a usare un linguaggio che non sia quello dell'egoismo e della violenza, il solo che il padre aveva saputo usare. Infatti anche Mario, il più giovane e apparentemente il più umano fra tutti, per riaprire il vicolo cieco in cui Aldo e Michele si sono cacciati con Tonino l'usuraio, alla fin fine non sa fare altro che sparargli col vecchio fucile del padre: "La prima cosa che papà mi ha insegnato"...
Allora si capisce che le piazze e le aie assolate sono luogo di un incessante e multiforme regolamento di conti nella rete di rapporti distorti fra i fratelli, e fra questi e la realtà, compiutamente rappresentata dal sordido mondo dell'usuraio, dagli handicappati, da Tania (la straniera amante di Tonino e di Aldo), da Angela, e soprattutto dalla enorme masseria con tutta la (potenzialmente) redditizia terra attorno, che si capisce ben presto essere il principale lascito dei genitori ai fratelli, e soprattutto il centro del film; proprio da questa Terra difatti viene il titolo, e secondo me molto opportunamente: solo in apparenza si tratta per i Di Santo di cercare il modo migliore di dividersela o di guadagnarci su; in verità i nodi si risolveranno definitivamente solo liberandosene, dato che l'intreccio di interessi che vi ruota attorno rappresenta la logica della divisione tra fratelli che il padre aveva loro insegnato, quindi lasciato in eredità. Liberarsene sarà solo apparentemente una perdita, perché significherà per tutti loro liberarsi dai legami velenosi non tanto fra di loro, quanto con un padre divisore.
Per ciò, il distacco di Luigi non dura molto: certo la sua compagna Laura, avendolo raggiunto da Milano pochi giorni dopo, non capisce perché lui debba aiutarli se loro non l'hanno mai considerato, ma egli se ne sente parte sempre di più: non è più un coinvolgimento distaccato e pratico, è il coinvolgimento di uno che è parte della famiglia e che allo stesso tempo sa che deve tentare di riunirla; anzi, forse proprio nell'essere i suoi fratelli così sanguigni non c'è vero astio reciproco, ma solo immaturità nel non saper affrontare le situazioni: l'avventatezza è ciò che a più riprese Luigi rimprovera a Michele, mentre Mario giustifica quest'ultimo e Aldo, affermando che semplicemente "Usano troppo il cuore, e non il cervello". Insomma, Luigi capisce che ricomporre il puzzle terribile in cui si trova invischiato è un'occasione per creare finalmente un'unità tra fratelli. Per questo diviene irrilevante che loro non l'abbiano mai considerato: l'interesse, l'anelito a riavere finalmente una famiglia d'origine è anche suo, esattamente alla pari degli altri tre.
Per questo durante il film i tentativi di tornare bambini, cioè di rifarsi a un passato comune, sono tentativi frustrati: la "chiesa di Roma" che costruisce Luigi ma che Mario lì per lì disdegna, la pagella che Michele gli va a prendere quando visitano la scuola... essi, solo se liberati dal peso dell'eredità possono tornare leggeri, ed è perfetto non solo il pranzo finale, tutti insieme alla masseria per la prima volta nella vita, ma soprattutto (chapeau agli sceneggiatori per l'idea) il gioco che spontaneamente si mettono a fare i quattro fratelli ormai riuniti, stavolta per davvero tornati bambini: che gioco è? Si tratta di centrare a sassate la campanella che svetta in alto sulla masseria: certo un gioco da bambini finalmente spensierati perché finalmente riuniti, dopo decenni, pur se il suo suono indica che adesso è davvero terminata l'ora della merendina, e che da oggi, lasciati mamma e papà, si deve crescere sul serio.
Carico i commenti... con calma