Ci sono testi, pur scritti per il teatro, che a teatro non rendono. Il Riccardo III è uno di questi. E lo dico per esperienza diretta, avendone visto l'interpretazione data da uno come Branciaroli che in fatto di tragedie non è proprio l'ultimo arrivato.
Credo che la stessa cosa abbia pensato un giorno Al Pacino, magari proprio all?uscita da teatro: questa storia recitata sul palco è ridicola, dall'inizio alla fine. Perchè un testo pensato per il teatro, nel suo luogo naturale si sgonfia di qualsiasi significato? Che fare?
Portiamola al cinema, allora. Ma il problema del testo, dopo le prime scene in costume, forse si è riproposto con tutto il suo ridicolo effetto.
Ed ecco la trovata: dissezioniamolo verso per verso, riga per riga, parola per parola, ridiamo essenza e corpo a ognuna, togliendole dal palcoscenico e riportando la cinepresa sul libro. Didascalizziamo tutto e poi rimettiamolo in bocca agli attori.
Diamo poi una contro-trama al film: la fatica attoriale di capire rendere Shakespeare, il complesso degli attori americani nei confronti del Sommo inglese, loro lontanissimo padre linguistico, la tortuosa impresa del regista nel tentativo di respirare la stessa aria che respirava Shakespeare, che arriva alla trovata di portare tutti in gita al Globe Theatre dove andavano in scena originariamente le sue opere.
Da una parte un'azione di smontaggio, ricostruzione e riappropriazione del testo, dall'altra una fuga materiale dalla statica rappresentazione scenica con infiniti collage di scene e una trama che si svolge in salita, tra tentennamenti, passi indietro a un passo dalla meta, divagazioni su ciò che non ammette divagazioni.
Con lui, Lui, sempre incombente, l'irrappresentabile, il Riccardo che parla troppo forbito, troppo sottile, troppo ingegnoso il suo ingegno, il suo sorriso segno del tradimento, la sua benevolenza anticamera della tua morte. Così tragico da sfiorare il riso...
Ma parola dopo parola, scena dopo scena, il tuo scetticismo sparisce assieme a quello degli attori, e a poco a poco finisci tuo malgrado per diventare suo sodale, il suo Buckingham più fidato. E' un processo instillato dalle parole ritrovate di Riccardo, le gocce che scavano la pietra che sovrasta il sepolcro del tuo lato oscuro, e senza darti una spiegazione logica ti trovi ad ammirarlo quando seduce la vedova dell'uomo che ha ucciso davanti al suo corpo ancora caldo, a venerarlo quando dice: quale donna fu corteggiata in un simile stato d'animo, e quale donna fu conquistata in un simile stato d'animo.
Ecco che le sue parole, riprendendo finalmente la loro forma e il loro significato primordiale, sprizzano sangue, dilaniano la carne, mordono il cuore, restituendoci con il sangue e la carne il fascino del Male insinuato come verme dentro l'uomo, quel male che fa muovere il mondo, relegando il bene a comparsa. E quando il re grida sul campo di battaglia, vorresti esser tu a portare il suo cavallo e salvarlo dai meschini e ottusi paladini del bene.
Solo un "non film" poteva arrivare a questo. Merito ad Al Pacino per aver restituito umana dimensione al re più inafferrabilmente disumano della Storia.
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