Distese sterminate di materiale sintetico. Non si respira. Un vuoto fitto come il nero cosmico. Vasto come le scenografie dei nostri sogni. Opprimente, il distacco provocato dalle vibrazioni artificiose è interlocutorio. Ostacoli di antimateria si ergono poderosi nell'immaginario, interagiscono con la coscienza, collidono e si fondono per ottenebrarmi maggiormente. Paura di cupi squarci, recalcitrante inalo quel denso nulla. Cerco punti fermi, non trovandone mi perdo. Ho lo spazio fisico d'un battito di ciglia per cercare disperatamente di non farmi piacere ciò che subisco. Ce la posso fare. No inutile, è uno strazio irresistibile.

Ora il buio sembra dialogare, seguo una scia d’impulsi. Muta continuamente dimensioni e direzione fino a spegnersi su se stessa. Si, intuisco finalmente che ciò che sento lo sto ascoltando, sto perdendomi in onde sonore. Sono loro ad infliggere scariche elettriche come pugnalate. E ne voglio ancora, voglio elettrodi a ricoprirmi da capo a piedi, voglio i miei organi interni asportati e rimpiazzati con freddo metallo comandato da microcircuiti e non è abbastanza. Voglio far vibrare ogni singolo capillare sotto lo stesso stimolo ritmico.
Invece quando ascolto “Yes And Dance” dei Silver Columns non posso far altro che alzare il volume in cuffia.

Eppure questa fredda e finta musica penetra lo stesso, corrode il sangue. Fastidio, musica del genere andrebbe odiata ma l’attrazione che ne deriva è maggiore di qualsiasi repulsione. E quand’è il momento di “Columns” mi sento piccolo piccolo, una particella di materia organica predestinata all’imperfezione del deperimento che precede il trapasso. Non come questi terribili suoni elettronici, meticolosamente processati a restare immutabili nell’eternità. E m’assale una malinconia terrificante, perché non possiamo riciclarci, innestarci delle fibre sintetiche, respirare naftalina, bere parabeni, iniettarci addensanti, immergerci in aromi artificiali? In fondo desidero solo una vita eterna, sinteticamente strafatta e remixata.

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