C'è aria di novità in casa Skylark, appena reduci dalla pubblicazione dell'ultimo episodio della saga "Divine gates" iniziata ormai anni addietro. Smentita dallo stesso leader (il tastierista Eddy Antonini) la notizia di un probabile scioglimento degli storici power metaller tricolori, e incassato il colpo della dipartita del carismatico singer Fabio Dozzo, essi si trovano nuovamente a far parlare di sè, dopo le critiche ricevute un po' ovunque a seguito della pubblicazione del precedente "Fairytales", dovute soprattutto all'innesto della biondocrinita Kiara (una via di mezzo tra la dolcezza delle tipiche sirene del Nord Europa e la mascolinità di Elisa Martin, ex-Dark Moor) dietro al microfono.
Con una produzione finalmente all'altezza di quelle di nomi più famosi ed il ritorno tra le schiere della Underground Symphony (che ha rilasciato il disco in un bel formato digipack A5), i nostri abbandonano in parte le sovrastrutture tastieristiche della precedente release per tornare a giocare con la materia che il concept richiede: quella dello speed, dei tempi veloci, della doppia cassa e degli assoli ultramelodici. Ne sono un esempio le tracce poste in apertura (su tutte "The scream", introdotta da belle melodie medioevali, che si configura sin da subito come un vero e proprio classico in sede live), nelle quali possiamo notare un miglioramento da parte della singer, che ha deciso di abbandonare alcuni azzardati (e perfino stonati) registri per concedersi una performance più lineare ma anche maggiormente godibile. Talento che ha occasione di mostrarsi anche nella ballata "Believe in love", posta subito dopo il velocissimo intermezzo strumentale "Hurricane" e giocata completamente sulla dolcezza dei suoni e della voce, nello stile delle ballad hard rock, così come nella breve ma piacevole "Time", condita da controcanti di vocals maschili ben innestati. Apprezzabili anche la riproposizione della melodico-drammatica "The heaven church" (già ascoltata su "Gates of heaven") e quella acustica di "Mountain Fuji", sapientemente posta in chiusura.
"Divine gates part III - The last gate" è un lavoro che scorre via liscio come l'acqua e veloce senza momenti di particolare sussulto (d'altronde questa è una prerogativa comune alla maggior parte delle produzioni del genere), ma composto e registrato con passione ed onestà che, spero una volta per tutte non mancherà di dare i giusti meriti ad una band che di gavetta nel proprio paese ne ha già fatta fin troppa.
È inevitabile infine, quando si parla di una band power metal italiana, il confronto con i famosissimi Rhapsody Of Fire. Comincino i paragoni: sia gli Skylark che i Rhapsody sono partiti suonando power metal sinfonico dai connotati fantasy, perpetuando negli anni lo stesso sound ed aggiungendovi talvolta minimali cambiamenti (le vocals femminili affidate a Kiara per i primi, l'irrobustimento delle sezioni orchestrali per i secondi), entrambi hanno un'attitudine piuttosto "tamarra" discendente dai capostipiti degli sbandieratori di banalità nell'heavy metal, ovvero i Manowar, che viene compensata da una solida base tecnica a volte anche troppo messa in mostra. Da una parte abbiamo una band che ha sempre cercato di mantenersi modesta e che, con un budget ridotto, ha sempre prodotto album piacevoli e riscosso apprezzamenti soprattutto all'estero (l'Italia non li ha mai saputi apprezzare), dall'altra un gruppo persone a mio avviso più astute nel marketing che nel comporre musica che dalla propria bocca hanno lasciato spesso e volentieri uscire affermazioni assurde e ridicolezze, che negli ultimi anni si sono accattivate le platee mainstream grazie ad espedienti scenici atti ad esaltare una sottospecie di grandiosità sinfonica inverosimilmente latente. Le stesse persone che in alcune interviste amavano utilizzare il tempo a propria disposizione discorrendo su quanti milioni di Euro venissero a costare le produzioni di questa o quell'altra band.
Sarà anche vero che la musica metal, se la si vuole far arrivare a più persone possibili, bisogna pur sempre cercare di estrapolarla dall'underground. Ma qual è il modo migliore per farlo? Quello dei Rhapsody o quello degli Skylark? Beh, considerando che "The last gate" non è certo un capolavoro e che esso potrebbe addirittura inorridire i soliti malpensanti defender, potrei concludere la recensione dicendo che la verità solitamente sta nel mezzo, ma io per una volta (pacchianerie di entrambe le proposte a parte), preferisco sbilanciarmi a favore della modestia e dell'onestà verso i propri ascoltatori, augurando ai nostri di poter continuare a far vivere il proprio sogno (magari soltanto all'estero) ancora a lungo.
Carico i commenti... con calma