Le quattro del mattino.
Mi sveglio, scalciando nelle lenzuola increspate. Mi alzo e mi metto in cuffia. Bill Callahan entra nelle mie orecchie in una veste di suoni inquietanti, con la sua timida voce paralizzata dal terrore, tra le atmosfere fumose della prima traccia, dal laconico titolo di "Song". Quando, alla fine del breve pezzo, pronuncia le parole "Let's call it a day". capisco che non tornerò a letto. La seconda traccia è un turbinio controllato che richiama la eniana "Third Uncle". La sua impostazione cantata-parlata mi fa venire i brividi, soprattutto quando dice quel "For some or other cause..." con inflessione reediana. Il basso cavernoso fa capolino dopo la linea "Have mercy", abbi pietà; mentre un accordo di chitarra mai liberato completamente dalla mano ti accompagna fino alla fine del brano. Quel basso cavernoso apre la traccia seguente, che partendo da una serie di frasi ripetitive e disorientate, aumenta il ritmo leggermente durante il pezzo, mentre la voce si mantiene su una pacatezza terrificante fino alla fine. E' più dolce nella canzone dopo, "Keep Some Steady Friends Around", quasi sognante, mantenendosi in equilibrio su un timido vibrato. "Dirty Pants" è una canzone senza Dio, morta, chiusa in una bara e perforata dal lancinante rumore verticale di una viola. La voce, all'apparenza calma se non annoiata, rivela grazie a piccole vibrazioni traccie di emozioni represse. E' emozionante, intima, anche se non certamente passionale, è come quella di un timido amante che rivela i suoi sentimenti dall'altro capo di un telefono con la linea disturbata. Dopo questo pezzo, molti ne avranno abbastanza e non avranno voglia di continuare e ascoltarsi anche "Lazy Rain". Ma questo è un disco all'insegna del timido annoiarsi e della discreta depressione, del nervosismo controllato e di magoni ingollati.
"Lazy Rain" è come un unghia incarnita, una finestra dal vetro rotto dal quale riesce a entrare la neve. Segue una lisergica ballata pseudo-country che dopo una partenza alla Pixies, insomma alla Nirvana di "Francis Farmer", rallenta fino a spegnersi, proprio come in un certo punto di "Sister Ray" (anche la batteria, e questo in tutto l'album, è molto Tuckeriana). "Live As If Someone Is Always Watching You" è un'altra canzone senza speranza, un uccello con una sola ala, costretto a volare in circolo per l'eternità. Se il disco fosse finito così sarebbe stato perfetto. Ma ovviamente al tizio in questione piace far capire che per lui essere noioso (e non in senso negativo, è solo un modo di essere... questo è il disco più ripetitivo che abbia [a parte Metal Machine Music] ed è fantastico per questo (basta concentrarsi su un obiettivo e raggiungerlo... quest'uomo voleva probabilmente fare un disco da ascoltare mentre ti piove dentro e non hai voglia di tentare un cambiamento e ce l'ha fatta, cazzo se ce l'ha fatta) non è un hobby, ma una professione e allora rincara la dose. Prima ci da il terribile presentimento di essere tornati al punto di partenza (e se non ci fossimo mai mossi?) con un "reprise"di "Rain On Lens". Poi ci propone una ballata del tutto simile alle ultime ascoltate, "Revanchism", dandoci l'impressione che forse non c'è alcuna differenza tra la morbosa indifferenza di "Dirty Pants" e l'apparente spensieratezza di "Keep Some Steady Friends Around".
La noia lo vince in ogni caso, qualsiasi strumento prenda in mano, a qualsiasi ora del giorno, qualsiasi parole stia cantando; quella stanchezza mentale è sempre pronta a tarpargli il cuore.
Carico i commenti... con calma