Islanda, estate 2006.

Negozio di dischi di Reykjavik. Mi capita per le mani un cd con una copertina curiosa con strane figure pallide e sfumate, dalla quale sento come un richiamo, una voce: ascoltami e non te ne pentirai, sembra volermi dire. Con il mio inglese invidiabile chiedo informazioni all'uomo del negozio, il quale con un inglese molto meno fiero, ma con un sorriso radioso, mi spiega che si tratta di un gruppo metal, i Solstafir (raggi di sole che filtrano tra le nuvole, o qualcosa del genere) e me ne descrive i tratti salienti.

Convinto più dalla fantomatica copertina che dal tipo, decido di prenderlo nonostante il prezzo scoraggiante di 2000 corone (circa 24 euro!!), e una sera, in un campeggio perso nella natura islandese a due passi da una grande cascata, lo metto nel mio fido walkman e schiaccio play. L'impatto con il primo pezzo è amore al primo ascolto: "I Myself The Visionary Head" è una pioggia di note di chitarra e colpi di batteria che mi travolgono e mi trascinano in un viaggio fatto di melodie potenti, avvolgenti, e poi distanti come richiami che echeggiano dalle montagne, per poi riesplodere in un finle poderoso.
La voce, urlata, sforzata, ma allo stesso tempo quasi remota, mi fa sentire solo in una selva musicale che rievoca la natura immensa ed incontaminata, gli spazi vuoti e solitari di questa terra; l'aria fredda ed antica che respiro ha un sapore diverso, tutto è diverso: la musica si è fusa con il paesaggio in un'unica, immobile danza millenaria, ed io con lei. Finito il primo pezzo, di 20 minuti, devo già spegnere: è troppo! Non posso andare avanti ora, devo rifletterci su. Il mio amico, incuriosito, mi chiede com'è il disco, ma io ancora non trovo il modo di rispondergli.

Gli faccio ascoltare il primo pezzo, e sono felice ma non stupito di constatare che la sua reazione è uguale alla mia. A questo punto sono pronto per andare avanti! Mi infilo nel mio sacco a pelo, chiudo gli occhi e schiaccio di nuovo play, questa volta per non interrompere più fino alla fine. E la magia si ripete: i pezzi dal secondo al sesto hanno lo stesso effetto magnificamente evocativo del primo; alternano parti di metal molto duro, freddo e veloce a intervalli strumentali lenti, piacevoli, ma altrettanto freddi nel loro suono folkeggiante, introspettivo, imperscrutabile. La scena è  dominata dalle schitarrate potenti alternate a dolci arpeggi, ma soprattutto a mio avviso dalla batteria, vera star del gruppo, capace di tenere ritmi straordinari.

I pezzi, molto lunghi, sono solo intervallati dalla voce aggressiva ma quasi dispersa, che lascia posto alla musica capace di disegnare paesaggi, ambienti, freddo, spiriti... ecco, credo di aver capito cosa erano quelle strane figure in copertina: erano gli spiriti, millenari spiriti della natura che questa musica riesce ad evocare, e che ora danzano al suono dell'ultimo pezzo, "Nàttfari", un folk solo strumentale, cadenzato, che scompare pian piano, assieme alla magia pagana di questa musica, di questo disco che conserverò sempre come ricordo di un viaggio che forse avrebbe avuto un sapore diverso, se quel giorno, al negozio di dischi di Reykjavik, avessi deciso di risparmiare 2000 corone.

Elenco tracce e video

01   I Myself the Visionary Head (19:58)

02   Nature Strutter (09:26)

03   Bloodsoaked Velvet (05:21)

04   Ljósfari (08:58)

05   Ghosts of Light (08:47)

06   Ritual of Fire (14:32)

07   Náttfari (03:16)

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