Li avevamo lasciati, venti anni prima, con Gaucho, il loro (bellissimo) album di commiato; li ritroviamo, a distanza di molto tempo (se si tralascia quel del tutto trascurabile “Alive in America”, uscito nel 1995) con un album che al tempo stesso suona maturo e fresco.
Perché Donald Fagen e Walter Becker sono due artigiani delle sette note in grado di plasmare ogni singolo suono fino a fargli raggiungere la perfezione; gli arrangiamenti, curati e cristallini come al solito, filtrano il gusto tutto jazzy che i fan di vecchia data conoscono bene, combinandolo col cinismo divertito (nei testi) dei loro tempi migliori (“Pretzel logic”, “Katy lied”).
Nonostante queste ovvie similitudini coi loro precedenti lavori però questo disco sembra rifarsi maggiormente alla produzione solista di Fagen, con particolari riferimenti musicali a quel “Kamakiriad” (1993), che purtroppo non tutti sono stati in grado di comprendere ed apprezzare. Le influenze jazz sono chiaramente riscontrabili in molti dei brani presenti nel disco, ma una menzione particolare la merita la traccia conclusiva, “West of Hollywood”, con un solo di sax nel finale che sembra non voler finire mai; in altri brani invece si possono respirare atmosfere funk, blues, pop, ma il tutto è confezionato con tale perizia che mai si ha l’impressione di avere a che fare con un lavoro qualitativamente non omogeneo oppure eccessivamente patinato (cosa che spesso accade, invece, in gruppi come i Toto, ma questa è un’altra storia).
L’andamento sinuoso di brani come “Cousin Cupree”, “Gaslighting abbie” e la splendida title-track vi terranno incollati allo stereo fino alla fine del disco. Poi, una volta terminato, schiaccerete nuovamente quel maledetto pulsantino play per far ricominciare tutto da capo. E ancora. E poi ancora… Ma se la vostra intenzione è quella di cercare di memorizzare al meglio tutti i complessi arrangiamenti, le armonie dissonanti e sussurrate, le rigogliose architetture sonore, datemi retta: lasciate perdere; è un disco che richiede numerosi ascolti per poter essere assorbito ed assimilato al meglio e, credetemi, non finirete mai di approfondirlo.
E lo chiamano “Easy listening”…
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