Quando ho scoperto che qualcuno lo aveva caricato sulla rete ho stentato a crederci. L’ho cercato per anni sperando di vederlo un giorno riversato in digitale ma ogni tentativo è risultato quanto mai inane. Ricordavo quella esplosione sommata ad uno sguardo di agghiacciante stupore quando lo mandarono in onda in terza serata sul terzo canale almeno tre lustri fa. Tre, tre, tre. Perfetto.

Rispolverato, divorato con gli occhi e scaricato in attesa che qualche distributore dia una carezza alla propria coscienza e lo preferisca all’ennesima commercialissima panettonata tutta maledettamente italiana.

In una Napoli che non sembra essere geograficamente collocata al suo posto, Crescenzio, trentatreenne corpulento, bolso ed estremamente riservato, respira quotidianamente i disagi di una città perversa, folle, cialtrona e ipocrita, tra le mura delle case in cui si reca per rilevare la lettura dei contatori del gas.

Crescenzio ha un fratello, Beniamino, che lavora come antennista alle dipendenze di un infimo, untuoso trafficante di televisori. Come tradizione vuole, caratterialmente è il polo opposto, il pecorone nero della famiglia, incline all’illecito, sbruffone, superficiale.

Entrambi hanno una donna o per lo meno una figura femminile appare al fianco di ognuno. Crescenzio, pur non essendo corrisposto, ama Giuliana, un’anima timida, malinconica, incapace di reagire alle insidie di una vita vissuta lontano dal calore familiare. Giuliana lavorerebbe come contabile presso il traffichino de quo, costretta ad omettere fatturazioni e a sopportare le esplicite avances del torbido padrone. Valeria invece, ragazza semplice, bonariamente ingenua, si lascia prendere in giro da Beniamino che dimostra apertamente di preferire ben altro, oltre ad essere così codardo da distribuire senza troppi preamboli velenosi ceffoni al fin di placar ogni tenzone.

Tra zitelle compiacenti, improbabili negromanti, poeti incompresi e sofisticati erotomani, si tesse la vita sterile del verificatore, del chiattone deriso dai giovinastri del quartiere, dell’orso che non ha ancora trovato un dimensione in cui adagiarsi per sopravvivere.

Crescenzio è abituato, sbagliando, a tenersi tutto dentro. Va tutto bene fino a quando non è più capace di incamerare le numerose delusioni che si vede costretto ad assorbire. E quando un vulcano dormiente decide di eruttare c’è veramente molto di cui spaventarsi sul serio. Scorticando la propria scorza avrebbe voluto fosse stata l'illiceità di una pistola amica ad arginare la vendetta ma il coraggio è venuto meno al cospetto di una cucina usurata dall'ignavia. Una parola di troppo lo convince ad affidarsi all’unico, fedele alleato che gli permette tra l’altro di tirare avanti: il gas.

Stefano Incerti, sontuoso regista napoletano, esordisce nel 1995, David di Donatello incluso nel pacchetto, firmando questo terrificante scorcio di sorprendente attualità. La spettabile ditta “Teatri Uniti”, fondata da Mario Martone, Toni Servillo e Antonio Neiwiller, produce questo film che con un po’ di sforzo si può considerare lungometraggio (dura appena 74’).

Audacemente fotografato da Pasquale Mari, regnano egemoni dei colori freddi che fanno apparire Napoli come una anonima, glaciale e incontrollata cittadina nordeuropea. Non è un caso se un critico l’ha comparata a Glasgow e in effetti nessuno la riconoscerebbe così prematuramente sovrappopolata dai pummarò, male illuminata da nostalgiche insegne commerciali o da file di lampioni quasi regolarmente fulminati. Il passaggio di una pioggia anomala emerge costantemente nelle pozzette create dall’asfalto superficialmente spalmato su quelle strade trafficate et/aut costellate di rifiuti. E l’emergenza di questi ultimi è ancora lontana. Sull’ignobile, palcoscenico proposto in pellicola sfilano diversi sottoprodotti dell’umanità più truce.

Bravo Antonino Iuorio nel ruolo di Crescenzio, col suo sguardo spento, le poche parole parlate che disdegnano il dialetto ma non l’accento ed una pacatezza passiva da far rabbia. Bravo Roberto Di Francesco nel ruolo di Beniamino così come una purtroppo dimenticata Elodie Treccani che interpreta la povera Giuliana. Di elevata qualità i coristi della tragedia, i già collaudati Antonio Pennarella, Teresa Saponangelo, Carmen Scivittaro… Nulla a togliere a codesti gioielli ma la classe è qualcosa di ben diverso dall’acqua se a ricoprire il ruolo del padrone belluino c’è Renato Carpentieri.

Un allora semisconosciuto Paolo Sorrentino appare nei titoli di testa come ispettore di produzione e c’è una sequenza fungente da intermezzo, (oggi un occhio navigato la riconoscerebbe in un attimo), che ha tutta l’aria di essere sua figlia…

Lavoro globalmente buono (ottimo se le musiche di Peter Gordon avessero commentato meglio le scene) che andrebbe a mio avviso rivalutato e messo in evidenza. A tempo perso, dategli un’occhiata in rete, magari mentre scavalcate le tracimanti sciocchezze di warholiano stampo e di bassa lega per giunta. Ne vale veramente la pena. E dura poco tra l’altro.

Carico i commenti... con calma