I Duran Duran nacquero con la frenesia di lasciarsi morire.

La loro non era la smania di autodistruzione della rockstar maledetta. Anche perché, della rockstar propriamente detta, non avevano nulla. Ci provò Andy, con gli anni, fece soprattutto ridere.

No: loro volevano ancorarsi al pop ammiccando gli dei. Per autocombustione morirono e rinacquero svariate volte.

Questo libro, confezionato con cura certosina, ricco di dettagli, pregno di passione, è fotografia nitida.

Chi vi scrive pretendeva di sapere tutto, e sia. Ma che cosa c’è di più dolce del riscontro, variegato e talvolta ammorbato, delle proprie certezze ?

Ebbene, ribadisco: i Duran Duran hanno saputo suicidarsi con grazia ma, come Balboa contro Apollo, si sono sempre rialzati prima del gong. Spesso, con forza sublime.

Per dire: tra il 1981 ed il 1984 salgono con nonchalance sul tetto del mondo, forieri di un pop patinato ma innovativo, contaminato ma spontaneo, grezzo ma mai banale.

Poi, nel 1985, in cerca di ossigeno per placare la fame di creatività più rarefatta (Arcadia: Rhodes, LeBon, Roger Taylor) o ribelle (Power Station: Andy e John Taylor) disintegrano il nucleo.

Fu qui che Roger disse basta e ispirando il Cutugno che verrà, disse, ‘voglio andare a vivere in campagna’ e così fece, grazie e arrivederci. Andy invece fece le bizze: no, no, no, col cazzo che torno.

Rhodes, Lebon ed il Taylor superstite, John, confezionarono ‘Notorious’ : non andò male, soprattutto in Italia, ma le vendite accusarono il colpo. I tre, comunque, non mollarono: consolidarono il trio e, due anni dopo, proposero ‘Big Thing’. All’avanguardia, con gemme sparse qua e là, non fece il botto ma li portò con dignità negli anni 90.

Suicidio numero due: ‘Liberty’. L’album ha frangenti che lo elevano, ma è ibrido: non convince l’ascoltatore, indispettisce lo zoccolo duro. L’inserimento in pianta stabile di Cuccurullo alle chitarre, scuola Frank Zappa, e di Sterling Campbell (cazzaro di dimensioni cosmiche) alla batteria, non porta a nulla. Vendite in numero di zero, niente tour.

Tutto finito ? Macché. Anno 1991: un calcio in culo a Campbell, Taylor / Rhodes / Lebon in ferie, Cuccurullo si chiude in studio e imbastisce ‘The Wedding Album’ trainato dalla locomotiva ‘Ordinary World’. Dalla EMI la prendono bene: cazzo, abbiamo una hit pazzesca. Dateci il tempo di rifarvi un’immagine.

E infatti: nel 1993 il disco fa boom. Rieccoli!

Suicidio numero tre : a corollario di un rilancio con i controfiocchi e di un album che ha venduto bene, che possiamo fare ? Ma sì: una raccolta di cover: Doors, Public Enemy, scomodiamoli tutti. Anno di (dis)grazia 1995: esce ‘Thank You’. Cito a caso, da Allmusic : ‘peggior album di cover mai realizzato’. Boom! Basta, è finita.

John se ne va. Lebon, ne soffre le pene. Compartecipa ai successivi due album, ‘Medazzaland’ e ‘Pop Trash’ con la testa altrove, piangendo l’amico Hutchence (Inxs) e presentandosi in studio quando se ne ricorda.

Rhodes e Cuccurullo fanno quel che possono: sperimentano, inventano, affinano. Ne esce qualcosa di buono, ma il mondo non se ne accorge.

Finché, nel 2001, a John (nel frattempo concentratosi su progetti solisti con scarso costrutto ed in continua riabilitazione, ndr) viene il lampo: riuniamo i Duran Duran, quelli veri, quelli originali ?

Via alla terza resurrezione: stadi pieni, fans in fibrillazione, nuovo album, ‘Astronaut’, 2004, finalmente ai vertici.

Finita ? Naaaaaa. 2007: suicidio numero 4. Nuovo album. Chi chiamiamo a produrre ? Timberlake e Timbaland. Andy: ma siete rincoglioniti ? Me ne torno a Ibiza. Slam! Aveva ragione : ‘Red Carpet Massacre’ fece flop con fragore.

Ora, sarebbe scontato star qui a parlare dell’ennesima risurrezione. I 4 superstiti sono invecchiati, invecchiati bene, come da copione. Hanno sfornato altri due album, niente di che, ma vuoi mettere, ormai si va di rispetto reverenziale, sono i Duran, dai, sono ancora qui.

E noi con loro.

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