Shame è un film potentissimo, come visivamente ed emotivamente, di rado capita. Potente già dal titolo, così semplice ed esplicativo dal significato duro, profondo, diretto come un pugno.
Shame è prima di ogni altra cosa un film sul male di vivere, come in pochi sanno esserlo.
McQueen, regista di enorme talento, ha evidentemente un grande interesse artistico per la prigionia ed il martirio dei corpi. Come in Hunger, così parlano chiaro le frustate di 12 Anni Schiavo, così il sesso in Shame. Sesso che qui non è mai atto di gioia e piacere, ma soltanto espressione di sofferenza, alienazione, dipendenza. E non solamente. perché Shame è una odissea umana che scava a fondo nella solitudine e nel dolore, splendidamente rappresentati da Carey Mulligan (la sorella con tendenze suicide) e da Fassbender. Che qui offre una interpretazione (divenuta di culto specialmente per il pubblico femminile) intensa, sofferta e straordinaria, non estrema quanto quella di Hunger ma, secondo me, ancora più memorabile. Perché lì portava su schermo la figura eroica e popolare di Bobby Sands, e sul corpo i traumi, gli abusi e le crudeltà dell'epoca tatcheriana. Qui invece è disperato, sgradevole, senza nulla di ideologico ma solamente in preda ad ossessioni, pulsioni, perversioni. Gentile solo con la segretaria del posto di lavoro, con cui però non riesce ad avere un rapporto sessuale in quanto non prostituta o un incontro casuale.
Fassbender che, invero, è spesso stato sprecato in ruoli non all'altezza della sua bravura in vari blockbuster, ma che con McQueen ha senz'altro offerto il meglio di sé.
McQueen ha anche la passione per i lunghi piani sequenza statici. Divenuto celebre quello in Hunger, lacerante quello in cui ha luogo l'ultimo durissimo dialogo tra fratello e sorella. E Shame è, per quanto mi riguarda, il suo capolavoro. Il suo miglior film in quanto quello meno politico ma più algido, suggestivo, e originale.
In Shame è presente il grande cinema, la cui fotografia gelida di Sean Bobbit e la colonna sonora, dai toni badalamentiani, di Harry Escott, accentuano l'atmosfera di un dramma metropolitano crudo ed esistenziale. Il cui protagonista, seduto in metropolitana con la sua sciarpa turchese, è già icona di questa decade.
Un cinema da cui risulta impossibile non rimanere colpiti.
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4 apr 17IlConte
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4 apr 17IlConte
4 apr 17hjhhjij
4 apr 17lector
4 apr 17proggen_ait94
5 apr 17Geo@Geo
5 apr 17