Con delle premesse simili, s'è commesso tutti un grosso errore di valutazione (e sopravvalutazione) nel pensare che Widows potesse essere un grande film. Volendo spaccare il capello in quattro, già 12 anni schiavo poneva delle premesse non tanto positive. Là erano i “negri”, qua sono le donne. Il regista di Hunger e Shame sembra aver deciso di sposare la causa delle battaglie civili facili facili.

Ma quanto meno il film del 2013 godeva di una notevole ispirazioni e di vibrazioni profonde, era banale quanto sentito. Qui no, lo scenario e la sceneggiatura non consentono grosse invenzioni stilistiche (qualcuna c'è, ma sono orpelli inutili) e quindi ci si riduce a un mero incedere narrativo. Potrebbe anche essere una buona cosa, non è tutto da buttare, pur nella scansione meramente espositiva dei fatti. Ma la retorica vuota che fa capolino e la mancanza di una riflessione autentica sul tema vengono sottolineate proprio dalla scansione eminentemente narrativa, che si trova dopo un po' a dover vivere di espedienti e colpi di scena, così inusuali in McQueen, per arrivare in fondo senza sbracare.

Ovvio, il cineasta non è uno sprovveduto e, conscio della pochezza della materia, complica le cose, le rende artatamente più difficili e involute di quanto siano, con un montaggio alternato molto fitto e una certa reticenza. Costruisce uno scenario, con tanti personaggi, innumerevoli premesse, ma alla fine partorisce il topolino, una stucchevole iperbole di autoaffermazione del mondo femminile su quello degli uomini.

Eppure s'era partiti bene, con la costruzione di figure femminili complesse, problematiche, passibili di critiche tanto quanto i loro mariti criminali. Una certa complessità rimane, non è certamente un film grossolano questo, ma l'impalcatura ampia che viene innalzata finisce per servire un obiettivo piccolo piccolo. Sembra che il regista colga le complessità e le contraddizioni dei rapporti tra uomo e donna, ma poi non sappia interpretare criticamente lo scenario esistenziale che tratteggia. O comunque, appiana i contrasti di genere in un'unica direzione. Rinuncia a essere un film su cui riflettere e diventa un mero thriller.

E, altra nota di demerito, butta nel calderone un po' di altri argomenti di moda (politica, razzismo, violenza), ma solo per il gusto di compiacere certo pubblico. Emblematica la sequenza in cui la polizia uccide a cuor leggero un giovane di colore (legato a una delle protagoniste). Totalmente scollegata dalla trama, sa tanto di aggiunta gratuita per il gusto di (illudersi di) essere scomodi, ma senza dire nulla di nuovo su quel tema. Così non si fa, non è questo il cinema politico.

Qualche strafalcione viene messo in bocca addirittura alle protagoniste. Che invece di essere diverse, di prendere le distanze dagli uomini che hanno devastato le loro vite, non fanno altro che emularli, diventano come loro. E se questo voleva essere un film a supporto dell'identità femminile, non c'è modo peggiore di farlo che rendere le donne emule degli uomini.

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