Era il 1971 quando Steven Spielberg, appena venticinquenne, ancora lontano dai fasti hollywoodiani e dagli effetti speciali mirabolanti, girò in soli 10 giorni, come il contratto prevedeva, un thriller on the road quasi metafisico, prodotto con quattro soldi. Un uomo, un commesso viaggiatore, la sua auto rossa, un'autocisterna e il suo pilota misterioso e naturalmente le immense strade del Nevada. Ecco i pochi ingredienti di un film che con così poco è capace di inchiodarti davanti allo schermo, inesorabilmente, fino alla fine, senza possibilità di scampo.

A causa di un futile motivo, un innocuo sorpasso nei confronti dell'ingombrante autocisterna, per il malcapitato protagonista, David, inizia un'agghiacciante "via crucis" assurda e immotivata fatta inizialmente da semplici intimidazioni e dispetti ma che sfocia ben presto in un folle inseguimento fatto di alte velocità, tamponamenti, fuoristrada, agguati e veri e propri spettacolari tentativi di omicidio, in un crescendo di altissima tensione, pathos, e puro terrore. Durante le brevi soste per il pieno di benzina e ristorarsi, David cerca di individuare il pilota dell'autocisterna, con il motore palesemente truccato, di dargli un volto ed eventualmente un nome per poterlo affrontare personalmente da persona civile ma accade sempre qualcosa che glielo impedisce e l'unica cosa che riesce a scorgere sono un paio di jeans e stivali marroni, per'altro comunissimi tra tutti i camionisti di quelle parti.

I dialoghi sono ridotti all'indispensabile, la sceneggiatura è concentrata sui pensieri del malcapitato protagonista, sulle sue congetture riguardo alla sua terrificante vicenda, sulle sue emozioni, le sue reazioni a volte irrazionali dettate dalla paura e dallo sgomento a volte ben ponderate secondo un piano preciso. L'impiego delle telecamere fissate sopra le ruote degli autoveicoli, le inquadrature degli inseguimenti , prese da ogni angolazione aggiungono altra dinamicità a una situazione già incandescente. Ottime le trovate stilistiche come le cupe e angoscianti inquadrature sul finestrino del pilota o sul muso dell'autocisterna in ombra, in contrasto con l'assolato deserto, i primi piani tesi e sofferti del protagonista, l'attore Dennis Weaver, perfetto e sufficientemente anonimo per interpretare la parte dell'uomo comune, con un lavoro comune, marito e padre, come milioni di americani, in una situazione anomala ed estremamante rischiosa e ad alto livello psico-emozionale. Il suo equilibrio mentale infatti, è sempre messo a dura prova in un contesto sgradevole e inaspettato, fatto apposta per farlo crollare definitivamente, che siano bambini maleducati e vocianti di uno scuolabus in panne o una coppia di anziani che non vogliono guai, poco importa.

Apprezzato persino da Fellini che volle incontrare il giovane e talentuoso regista che con pochi mezzi e tempo a disposizione aveva dimostrato una professionalità e una maestria precoci, "Duel", primo lungometraggio di Spielberg, rimarrà nella storia del cinema il vero gioiello di un regista che purtroppo, da molto tempo, spreca il suo talento in produzioni blockbusters con risultati a volte mielosi e banali a volte pregevoli ma votati immancabilmente al successo di pubblico a scapito della qualità effettiva dell'opera, salvo alcune eccezioni. Non dimentichiamoci però lo Spielberg anni '70, qualcuno che ha avuto la competenza necessaria a solo un quarto di secolo di vita di creare con pochi mezzi qualcosa di indimenticabile e di straordinariamente avvincente in un contesto mai banale e mai privo di contenuti che vanno al di là del semplice road movie d'azione, adrenalinico, coinvolgente, a tratti ipnotizzante.

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