Nel 1970 Sydney Pollack trae dal romanzo breve "Ai Cavalli Si Spara" di Horace McCoy il film "Non Si Uccidono Così Anche I Cavalli?"; la pellicola è ancora oggi uno dei lavori chiave degli anni '70 e nella sua notevole sostanza è un ritratto incredibilmente concreto della disperazione umana portata all'estremo, un racconto sadico e pesante, ma soprattutto claustrofobico e inquietante.

Nel 1932 in piena depressione a Los Angels in una balera in riva all'oceano si svolge una maratona di ballo con in palio alla fine un premio di 1500 dollari; vi partecipano gli esseri più umili e toccati dalla povertà, il circo è gestito da un impresario crudele e sfacciato (Gig Young) che per settimane farà soldi a palate esibendo il suo campionario di poveracci ai ricchi signori della California.

Il film è un affresco che dipinge una società impietosa nei confronti dei più deboli, che per vivere e mangiare sono costretti a esibirsi come animali in un primitivo reality show in cui la loro dignità è cancellata totalmente e servono solo come fenomeni per il baraccone e a nutrire i gusti sadici del pubblico. Fredda anticipazione della realtà contemporanea, con le doverose differenze, si parla in questo film di reale disagio e drammatiche condizioni di vita, l'uomo è portato a fare tutto pur di tentare di uscire dalla miseria e abili approfittatori senza scrupoli sono sempre in agguato per specularci sopra. In fondo è una lotta per vivere, i più furbi e forti schiacciano e usano i miserabili per i loro fini, ma quello che emerge alla fine è solo un profondo senso di tristezza e rassegnazione che non salva nessuno. Il titolo si rifà alla uccisione dei cavalli che riportano fratture al piede (incurabili per un animale che vive quasi sempre in piedi), è per essere capito bisogna seguire nel film la disperata gara della protagonista, interpretata da una bravissima Jane Fonda; che ha bisogno del premio per sfuggire al suo misero destino e che alla fine si ritroverà senza speranza, distrutta dall'estenuante gara e dopo tanto dolore chiederà al compagno di compiere un ultimo gesto disperato.

La pellicola non è adatta a tutti, il tutto si svolge in un ambiente chiuso e per due ore non c'è possibilità d'uscita, una maratona di dolore, lacrime e pazzia che genera un profondo senso di disagio nello spettatore che trova difficile sopportare la visione di tanto ostentata sofferenza fisica e psicologica. Ottima regia di Pollack, notevole la gestione dell'insieme delle storie delle altre tristi comparse, in conclusione una metafora del destino dell'uomo, sempre condannato a soffrire per potere alla fine vivere in questo mondo.

Carico i commenti...  con calma