L’innocenza nella sua crudezza. Il miele dalle labbra alla bocca. Il profumo sapido dell’estate. Una sensibilità spontanea e l’esuberanza dolcemente trattenuta. Un songwriting luminoso al femminile. Poche canzoni che sono però l’emblema del twee pop inglese.

Talulah Gosh è la storia di una studentessa di economia ad Oxford, Amelia Fletcher, e delle velleità artistiche di Elizabeth Price. Marigold e Pebbles. Entrambe giravano con la spilletta dei Pastels (da cui “Pastels Badge”). Poi c’è un fratellino quindicenne. C’è il commesso di un luogo sacro, un negozio di dischi. Altri frequentatori. Qualche fanzine ciclostilata. Gli ascolti reiterati di Television, Television Personalities, Raincoats, l'ammirazione per Claire Grogan (Altered Images), ma anche le nostalgie romantiche perShangri-Las e Ronettes. Intanto NME pubblica C-86, la cassetta che compendia una specie di movimento (detto "anorak pop" o "shambling") influenzato dalla chitarra elegante degli Smiths, dalla schiettezza spicciola dei Ramones, dalle serafiche armonie vocali dei gruppi femminili anni ’60.

Gosh” è l’interiezione ”perbacchissimo”. “Talulah” è un nome proprio femminile. Se riferito alle tradizioni dei nativi americani significa "acque che saltano” oppure “città”. Se legato al gaelico può significare "principessa dell'abbondanza" o "donna fruttifera".

Incisero nel biennio ‘86-’87 cinque singoli per la 53rd & 3rd e un flexidisc. A metà del loro percorso alla Price subentrò Eithne Farry. L’epilogo furono le Peel Sessions. Si sciolsero a febbraio 1988 per dar vita a nuovi progetti, Heavenly in primis. L’unico album, contenente le loro sessioni radiofoniche, verrà pubblicato postumo dalla gloriosa Sarah Records. La raccolta “Was It Just A Dream” (Damaged Gods, 2013) include come “Backswash” tutte le venticinque tracce incise dai Goshes, ma vi addiziona pure i primissimi quattro demo.

Troviamo pezzi sgangherati, giocosi a fare bella mostra del loro pop chitarristico (“Beatnik Boy” e “Steaming Train”), filastrocche punk rock (”Be My Boy” e “My Best Friend”), urla e accenti noisy (“Testcard Girl”), bridge aggraziati che scivolano in ritornelli accattivanti e adrenalinici ("Talulah Gosh", “Spearmint Mind”), ritmi sincopati ("Bringing Up Baby"), toni umoristici e riff jangle byrdsiani ("I Can’t Get No Satisfaction (Thank God)"), preziosi contrappunti canori attorno a melodie angeliche (“Was It Just A Dream”, “My Boy Says”) e ancora basso granelloso, batteria corriva e chitarre stratificate ("My World's Ending", “Bring Up Baby”, “Escalator Over The Hills”). Le tematiche adolescenziali si riassumono in crisi d’identità, amori non corrisposti, ode all’innamoramento. I demo hanno un carattere tanto grezzo quanto educato. Costituiscono un piacere documentaristico dal sapore casalingo.

Le canzonette delle Tululah, in genere intorno ai due minuti, non sono così semplici come sembrano. Ogni pezzo vanta una bellezza approssimativa ma curatissima. Dove ci si approssima ad una certa soavità sognante. E dove si mostrano il lato morbido dell’idealismo punk e l’entusiasmo primigenio dell’indie rock. Una sciocca e amabile dolcezza appassionante.

Avanzeranno l’indie pop e le riot grrrl band. Shop Assistants, Bikini Kill e Bratmobile, Belle & Sebastian e Camera Obscura, Vivian Girls tributeranno una certa riconoscenza ad Amelia Fletcher. Le Tululah Goshes avevano cullato una piccola rivoluzione con occhi sognanti.

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P.S. Amelia Fletcher è oggi docente all'Università di East Anglia, mentre la co-cantante Elizabeth Price ha vinto il premio Turner 2012 con la sua suggestiva installazione video "The Woolworths Choir Of 1979".

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