LA MUSICA NON MUORE.
Il pianoforte sotto la luna della Villa Mondragone di Monte Porzio a Roma.
'La musica non muore' esclamò il grande Toscanini dopo aver ascoltato 12 giovani strumentisti romani. Accadeva 55 anni fa e il concerto era quello de 'I Musici' allora all'inizio della loro carriera. Pensavo a questa frase venerdì sera a Villa Mondragone salutando a fine concerto amici vecchi e nuovi, compagni di studi del Conservatorio, nel pubblico come nell'Orchestra. Sì, la musica non muore fin quando ci saranno le nuove generazioni, noi, a raccogliere l'eredità culturale che ci è stata passata, a tener conto della tradizione per poterla rinnovare, oltrepassare o semplicemente leggere con gli occhi un po' ingenui, coraggiosi, a volte avventati che ci contraddistinguono.
Giovane l'Orchestra, unione dell'Orchestra di Roma e del Lazio e dell'Orchestra Roma Sinfonietta, giovane il direttore Alessandro Buccarella, e i due pianisti Luigi Tanganelli e Massimiliano Ferrati, per due Concerti per Pianoforte ed Orchestra (n°1 op.15 in do maggiore e n°3 op.58 in do minore) di un Beethoven ancora giovane e rivolto verso l'esempio di Mozart con il fraseggio rilassato e giocoso, le sonorità cristalline, il melodismo ironico e persino insolente, come nell'episodio centrale del Rondò dell'op.15 o anche il tema del Rondò del 3° concerto: musiche danzanti e popolaresche, che sembrano essere state raccolte in strada da un organetto, e poi il ritmo pulsante e vivace che non vuole spezzature, il riso e la verve inesauribile che può tramutarsi, veloce, in una pensosità solitaria e profonda come nel secondo tempo di entrambi i Concerti.
Un Beethoven ben lontano da come siamo abituati a vederlo, chiuso nel suo titanico cipiglio, ma già capace di esplorare le profondità di un nuovo linguaggio soprattutto nel Concerto in do minore, non a caso considerato il punto di snodo verso l'acquisizione di un linguaggio nuovo per il ruolo dato al pianoforte solista: unico protagonista nel 4° Concerto, al contrario, perfettamente integrato nel tessuto orchestrale, quasi strumento dell'orchestra stessa, nel Concerto n°5 'Imperatore'.
Il Concerto op. 15 quindi avrei voluto ascoltarlo così, semplice, brillante, mutevole e continuamente cangiante nel fraseggio e nel timbro, solare e netto come un Do Maggiore può essere, spedito e fluido, interessante, personale e nuovo, rivisitato e riletto come Beethoven rilegge Mozart. Tanganelli però, pur con innegabili doti, non è riuscito a trovare la rilassatezza e la scioltezza, il gusto di suonare, così, all'improvviso, la mia testa ha cominciato a cercare...
'Mi mi re do do, mi mi re do do...' a 'cercare' nella memoria uditiva il suono giusto,
'mi mi re do do si la sol sol la fa sol' il fraseggio giusto, il giusto carattere per la parte solista, la personalità dell'interprete che potesse suonare con l'Orchestra diretta dal giovane Buccarella con il suo gesto chiaro e preciso e l'esperienza di un Direttore navigato, che non si perde d'animo di fronte alle defaillances del solista. Ed è andata così che quel suono l'ho trovato nel ricordo vivo delle diverse ma magistrali interpretazioni di Richter e Gilels, ed è andata così che, pur non volendo, il Direttore d'orchestra ha rubato la scena al solista per il gesto incisivo che non ammette indecisioni né sfasature o incomprensioni, per la capacità di farsi unica trainante guida di un insieme diventato UNO e che fa persino emozionare quando ad un suo movimento o ad un suo sguardo gli archi dei violini, delle viole, dei violoncelli e dei contrabbassi, in sincronia perfetta si alzano o si abbassano sulla cordiera.
E poi, la mia testa ha smesso di cercare altrove: finalmente un suono pieno e denso qualitativamente sempre diverso, quello di Massimiliano Ferrati. Una interpretazione del 3° di Beethoven di chi ha qualcosa da dire, non anonima, mai incolore, che non teme di esasperare i piani sonori facendo risaltare la scrittura musicale assolutamente 'maschile' di Beethoven. E così mi sono sentita catapultare tra i suoni di una partitura conosciuta nei particolari, sospinta dal procedere consequenziale delle linee melodiche, trasportata dal fluire dei temi contrapposti sempre ben caratterizzati che trapassano però gli uni negli altri senza interruzioni o spezzature. Un pianista personale ed elegante soprattutto negli episodi di cadenza dove semplicemente rallentando un trillo in modo perfettamente calibrato riesce a creare attese trepidanti, che sa catturarti e farsi seguire nel suo tessere, svolgere e poi dipanare la musica come un racconto di fiabe.
Convincente anche se con idee musicali diverse dalle tue. La musica, davvero, non muore, poichè tra i vari Barenboim, Pollini, Sokolov, Lupu, i Volodos, i Kissin, i vincitori di concorsi blasonati, tra gli Abbado e i Temirkanov, ci sono tanti musicisti con la stoffa, la preparazione, le capacità ed i livelli di Tanganelli, Ferrati, Buccarella, dei giovani Orchestrali.
Eppure, le Orchestre continuano a chiudere: non ci sono i finanziamenti, ma poi, per magia escono per mille altre attività commercialmente o demagogicamente più redditizie; i musicisti continuano letteralmente ad affannarsi, anzi no, proprio a sgomitare, e mi si passi la colloquialità, per trovare spazi per poter suonare, quando non sono letteralmente disoccupati; eppure la musica continua ad essere consderata, nel suo tenace ed improduttivo produrre, qualcosa di cui si possa fare a meno, anzi tagliare.
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