“Finché mi diverto, non sento il bisogno di andare in pensione.”

Creata Taylor sheridan, "Tulsa King", punta di diamante della Paramount Plus, è una serie Tv che vede lo stachanovista Sylvester Stallone indossare i panni di Dwight "Il Generale" Manfredi , un capo della mafia di New York che ha appena finito di scontare una pena detentiva di 25 anni. Dopo il rilascio, verrà mandato a Tulsa, per stabilire lì operazioni criminali. Non conoscendo nessuno nella zona, il Generale cercherà un nuovo equipaggio per aiutarlo a stabilire il suo impero.

Un'insolita epopea gangster che rifiuta qualsivoglia forma di velleità documentaristica per consacrarsi ad una morbosa e insana ironia e che trova il suo appoggio nel machismo sfrenato del suo protagonista. O almeno ci prova, fallendo.

A fare i conti con l'inesorabile scorrere del tempo, ci aveva già pensato Scorsese con il travagliato "The Irishman", papabile testamento spirituale della sua stratificata mitologia cinematografica: il prodotto, nonostante un manierismo di fondo, urlava la propria immortalità da tutti i pori, riuscendo al tempo stesso a mantenere una certa dose di credibilità.

Stallone invece, nel disperato bisogno di imporre la propria pachidermica mascolinità, ne rimane vittima: la nutrita kermesse di scene di azione con relative pose da duro sono una goffa e maldestra imitazione di un anziano che ancora non ha accettato il peso dei suoi anni e che non riesce in modo alcuno a decodificare i ritmi e i linguaggi della pop culture odierna. La narrazione stessa, che come già detto, abbraccia l'assurdo a discapito di qualsiasi forma di realismo, è schiava dell'ego del suo attore protagonista.

Anche l'elemento comico, di primo acchito accattivante e gustoso, finisce per soccombere dinnanzi al nonsense di alcune improbabili sequenze e scelte discutibili, tra love story telefonate, flebili approfondimenti psicologici e irritanti invettive contro la gen z.

Insomma, una spavalda rappresentazione del più bieco onanismo, che non lascia emergere alcun guizzo creativo realmente degno di nota.

Un pattume imperdonabile, obsoleto e incapace di dialogare con le nuove generazioni. Da cestinare.

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