E' probabilmente uno degli errori più diffusi in ambito cinematografico: quello di etichettare un film con un genere e poi trovarsi di fronte a tutt'altro. Un po' quello che è successo con il recente "The road" di John Hillcoat, sorte toccata anche a Reservation road, quarto lungometraggio dell'irlandese Terry George, il secondo di quelli che hanno avuto una certa rilevanza.

Perchè questa premessa? Ancor prima della sua uscita (2007), si era parlato di Reservation road come di un thriller. L'aspettativa generale era quindi quella di trovarsi davanti ad un lavoro carico di suspense e tensione. In realtà quello che il regista dell'osannato "Hotel Rwanda" porta sul grande schermo, non è altro che una delle realtà più dolorose che il mondo di oggi ci presenta quotidianamente.

Partendo dal romanzo omonimo di John Burnham Schwartz (quì anche sceneggiatore insieme allo stesso George), il cineasta di Belfast racconta l'agonia di due uomini: Ethan (Joaquin Phoenix) ha perso suo figlio a causa di Dwight (Mark Ruffalo), pirata della strada. Le due figure femminili di Grace (una splendida Jennifer Connelly) e Ruth (Mira Sorvino) fanno da contorno alla difficile situazione interiore che i due si trovano a vivere.

Quasi nulla di quello che può essere definito thriller è presente in Reservation road, mentre al contrario esso rappresenta uno dei film più riusciti su questo argomento al pari di "Tre giorni per la verità" di Sean Penn e del recente "Rabbit hole" di John Cameron Mitchell. Un lavoro che è ammantato di sentimenti che si scontrano e si incontrano tra loro in un susseguirsi continuo di parole non dette e frasi a metà.

Il più grande merito del regista sta nell'essere riuscito (pur con qualche difficoltà) a raccontare una storia che poteva benissimo scadere nella solita solfa melodrammatica tutta lacrime e niente sostanza. George pone al centro della pellicola proprio il conflitto interiore dei due uomini (entrambi ben interpretati da Phoenix e Ruffalo): il primo distrutto dalla perdita del giovane figlio, il secondo ugualmente distrutto dal senso di colpa, dal rimorso, ma incapace di fare il passo definitivo verso la sua colpevolezza. Su questi binari Reservation road si avvia verso la fine ponendo altre domande e sottolineando ancora una volta il pensiero imperante negli Stati Uniti post 11 settembre: la consapevolezza del fallimento della giustizia porta gli individui a cercare la vendetta personale, perchè convinti che chi di dovere non ha il potere o non vuole concludere il proprio lavoro. Da quì nasce lo scontro.

Terry George lancia da una storia di sofferenza e figlia dei nostri giorni, uno sguardo al passato. Indaga la visione odierna del dolore da parte del "normal man" americano. Lo fa con precisione e capacità, riuscendo infine anche a lanciare dei messaggi. Consigliato.

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