Quando ebbi la possibilità di acquistarli, nei primi anni '90, di quanto relazionato ai quattro ragazzi di Liverpool, potevo già considerarmi un veterano. Uno spugnoso panno imbevuto, intriso, ubriaco di loro. Avevo nelle orecchie l'eco delle urla forsennate, le imprecazioni stentate dei poliziotti esausti, le corde vocali in vibrazione perpetua e il culo poggiato sulle gradinate fredde dello Shea Stadium con i rullini esauriti e il magnesio in panne. Sulle pagine del mio ciclo vitale appena trascorso, anche per rendere omaggio alla efficace metafora di un gentile utente, almeno per quanto concerne la mia personale immersione nello sterminato universo della musica, era stato scritto davvero molto.

Aldilà delle monumentali composizioni classiche e un pizzico di jazz, quelle pagine, inesorabilmente tendenti all'ingiallimento del trascorrere temporale, erano state marchiate a fuoco da massi in caduta libera, dirigibili tedeschi in frammentazione, porte della percezione, rivalutazioni di acque chiare, velluti sotterranei, maiali rosa volanti, tipi da spiaggia, folkmenestrelli, uccelli e gallinacci. Nulla però che avesse spezzato quell'incantesimo, espugnato quella fortezza. Nulla che avesse intaccato, seppur con potentissime armi in dotazione, le infrangibili corazze di quella quaterna di coleotteri inglesi.

All'epoca i due album erano separati e contrassegnati da una semplicissima copertina nera per il periodo dell'ascesa 1962-1965 e bianca per quello della consacrazione che includeva il secondo lustro degli anni sessanta. Scioglimento compreso. Un doppio album che per certi versi mi ha fatto incazzare se penso ad alcune preferenze di pubblicazione ingenue o affrettate, nate dalla produzione bonaria e a volte succube del buon George Martin. Quante volte i Beatles hanno sfiorato l'apoteosi? E se avessero pubblicato sul vinile ufficiale quel brano invece di quella traccia inane? Perché una irritante "Dizzy Miss Lizzy" e non una "Yes it is" dopo l'immortale "Yesterday"? E una "She's a woman" a rimpiazzare l'orrenda "It's only love?". Perché un frivolo litigio con le tendenze omicide di "Run for your life" e non una efficace "We can work it out" o una tostissima "Day tripper"? E se a sforacchiare le anime a revolverate ci fosse stata una pioggia acida sul tetto di una serra tra uno scrittore di tascabili e una limonata? "Sharethsmowtsmeaness" avrebbe detto Lennon al contrario per fomentare le gocce battenti di quello splendido stato mentale. Sul doppio bianco poi, quella soporifera rivoluzione dal sapore preliminare e quella luce interiore che avrebbe dispensato saggezza al contrario di una paternamente odiata filastrocca barocca su un bizzoso bambinetto di corte. Ma quante volte hanno sfiorato l'apoteosi?

Il resto è un mare di emozioni, ricordi, dal risvolto anche aneddotico. Dalla prima sessione di "Love me do" dove il buon Ringo era stato messo in castigo da un anonimo Andy White alle versioni in tedesco degli inni d'amore che avrebbero bruciato per sempre l'egemonia d'oltreoceano. Quel tedesco non proprio cattivo imparato per riconoscenza tra le fumose pareti squallide del Kaiserkeller nell'era del "krauten und mignotten". E qualche folgorato iperprofessore trapiantato negli States è ancora convinto che fossero capaci solo di vomitare canzoncine mielose di due minuti. Tra qualche non riuscito ricalco dell'inimitabile Little Richard e un fac-simile suonato col gomito sull'hammond si passa alla fase matura, al big-bang. Quando i Beatles si sarebbero imposti anche senza ricorrere all'esercito degli scapoli o a variopinti viaggi in corriera. E quella "Across the universe" sull'allegretto andante fortunatamente sopraffatta dall'ombra di una versione migliore incisa in proprio. C'è spazio anche per una composizione bizzarra, nell'anno della confusione, che ricorda le melodie balzane del buon Zappa. Quell'interrogativo reiterato su questioni anagrafiche dove partecipò al sax il bel bassista inviso al labbrone. Quel caschetto biondo che di lì a poco avrebbe abbandonato quegli anni turbolenti sul fondale piastrellato di un mare amico.  

Anche quando avrebbero salutato il pubblico dall'alto di una giornata uggiosa, immersi in pellicce da donna e collant anti-sibilo sotto lo sguardo imbarazzato degli elmetti e quello fulminante della megera nipponica. Per carità, andiamo via. Non vogliamo più disturbare. Stacchiamo gli strumenti e li appendiamo al chiodo per un po'. Forse. Anche se in effetti io ho preparato qualcosa in fattoria, lui in Canada, l'altro in India e l'altro ancora in compagnia di Peter Sellers.

All'orizzonte il sole splende ancora. E quei quattro insetti non verranno mai schiacciati.

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