Scomporre diversi mostri/chimere per poterne creare uno ancora più grande, rivestito di velluto e metalli sconosciuti agli umani. Tutto questo è racchiuso nel Book Of Knots, assieme alle componenti Carla Kihlstedt (il velluto), Tony Maimone, Joel Hamilton e Matthias Bossi (i metalli) che assieme riescono a tessere un ricamo di rara manifestazione orrorifica.
Si inizia con l'incedere marziale di "Microgravity", una batteria enorme, un rullante a mò di fucilata, e Carla che compone un castello melodico con la sua voce su chitarre di estrazione quasi heavyCrimsoniana, con leggeri echi elettrici nascosti dalle distorsioni, che tendono ad uscire sul finale e un ritornello pop da leccarsi i baffi. "Drosophila Melanogaster" è il male. Il pianoforte va a braccetto con rumori sintetici di fabbriche sperdute su lande inespressive, piombo dal cielo, mercurio sulla lingua, è la suadente voce di sir Blixa Bargeld che accompagna il feretro, assieme al violino ferale di Carla, è un crescendo in silenzio, il nervoso si insinua nella voce di Blixa, fino all'esplosione in punta di piedi, melodia di metallo, cori desertici sotto la fine. A fare gli onori di casa (poichè il disco esce per la sua Ipecac) è sua maestà Mike Patton su "Planemo" con una linea vocale che arriva direttamente dagli anni '50 (memore di Mondo Cane), laccata di un nosferatiano noir, su interferenze sinfoniche da una radio soffusa nel tempo, fino ad aprirsi su chitarre storte che punteggiano qua e là una melodia siderale, mentre il Nostro scrive il suo racconto su fogli di pop spaziale, una delle sue migliori performance di questo genere degli ultimi tempi. Altrove ritroviamo melodie figlie dirette degli Idiot Flesh, nenie disturbanti e folli, voci infernali, su chitarre acustiche in collisione su chitarre elettriche industriali e voci di sofferenza eterea ("Obituary For The Future" è il mausoleo del disco intero).
Roba di qualità horror di serie A.
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