Vuole la vulgata che i giamaicani si fumino l'impossibile, prima che le onde ed il rilassante ritmo reggae li cullino placidamente sulla riva del mare caraibico.

Alla ricerca del paradiso in terra, quarant'anni fa Joe Strummer e Mick Jones partono per quelle lande pieni di buone sensazioni e vibrazioni, non prima di aver mandato a memoria un vademecum adatto alla bisogna qual è «The Harder They Come».

Da quel breve soggiorno, i due traggono ispirazione per «Safe European Home». Che è il resoconto per filo e per segno, e nessuna pretesa di ironia, di una viaggio all'inferno, dove le armi da fuoco sono le più fedeli compagne degli uomini ed i proiettili vagano a casaccio; e siccome per i nativi l'uomo bianco è un invito alla violenza come il drappo rosso per il toro è un incitamento alla carica, Joe e Mick presto presto fanno i bagagli e se ne tornano nella loro sicura casa d'occidente, dove al massimo può capitare un banale tafferuglio al carnevale di Notting Hill, vuoi mettere?

Per cui, in «Give'em Enough Rope» di reggae non se ne trova neppure un accenno.

L'unica traccia lasciata in quell'epoca la si rinviene sul retro del singolo «English Civil War» ed è la ripresa del classico di Toots And The Maytals, «Pressure Drop»; vero è che qualche mese prima c'è stata «White Man In Hammersmith Palais», ma questa è più agevole attrarla nell'orbita dell'esordio, per qualche motivo ignoto.

Ora, chi crede che lo ska-punk lo abbiano inventato gli Operaton Ivy e perfezionato i Rancid probabilmente non ha mai ascoltato né sentito nominare la «Pressure Drop» clashiana, per cui butto giù qualche riga, abusando della vostra pazienza.

Sul finire degli anni Settanta, è frequente riferirsi ai Clash come la più grande rock'n'roll band in circolazione, anche perché gli Stones si stanno avviando per la china discendente ed urge rimediare nuovi ribelli, brutti sporchi e cattivi.

Soprattutto con il senno di poi, oggi è quasi scontato considerare che Strummer e Jones hanno portato degnamente il testimone passatogli da Jagger e Richards, per una serie di ragioni che sarebbe troppo lungo enumerare in una sola occasione.

Pertanto, mi limito ad una considerazione personale ed assolutamente banale. Per me, quello che accomuna Stones e Clash è l'impatto devastante dei riff che aprono tante delle loro canzoni: «Brown Sugar» e «Complete Control», oppure «Bitch» e «Bored With The U.S.A.», piuttosto che «Can't You Hear Me Knocking» e «Protex Blue», dal che è facile concludere che reputo «Sticky Fingers» e l'omonimo esordio dei Clash due dei massimi esempi di cosa sia il rock'n'roll.

Più di ogni altro, però, quello che mi manda in orbita è il riff di «Pressure Drop».

Non so quanti abbiano in discoteca «Black Market Clash», stringata raccolta di singoli e rarità poi ampliata e ribattezzata «Super Black Market Clash». Ebbene, è stato tra quei solchi che ho conosciuto «Pressure Drop»; che ne sapevo che si trattasse di una cover – ai tempi, nemmeno sapevo cosa fosse una cover – e da subito la ritenni una delle canzoni più belle del gruppo.

Perché «Pressure Drop» è tutto il contrario di ciò che il titolo lascia intendere.

L'intro è tutto per Mick Jones che, in perfetta solitudine, mette sul pentagramma note che rimandano all'originale ma pure se ne distaccano nettamente, intrise come sono di vigorosa elettricità; del reggae di Toots e dei suoi Maytals rimane ben poco fin da subito, qui la chitarra non invoglia placidi sogni ma suona la carica ed obbliga a muoversi. Ma non c'entra niente neppure il punk, per cui va preso con le dovute precauzioni lo ska-punk di cui sopra e quasi quasi lo rinnego, considerata la distanza siderale da «White Man In Hammersmith Palais», quello sì connubio definitivo ed irripetibile tra reagge, ska e punk; questo, invece, è suono in movimento, il punto di partenza magari è «Julie's Been Working For The Drug Squad» mentre la meta di destinazione è ancora sconosciuta, solo perché «The Cost Of Living» e «London Calling» arriveranno da lì a qualche mese.

Poi entra tutto il gruppo e comincia il ballo.

E sempre con il senno di poi, non ci si stupisce più di come Paul Simonon – poco meno di un teppistello, dirottato al basso perché incapace a formare un accordo di La sul manico della chitarra e men che meno a cantare – sia diventato nel breve volgere di un anno uno dei migliori strumentisti in circolazione, carismatico come pochi altri; e nessuno sospetta che, nel giro di pochi giorni, quel Paul Simonon scriverà e canterà «The Guns Of Brixton», a detta di molti la canzone più bella tra tutte quelle composte dai Clash.

La prima voce che irrompe sulla scena è quella di Mick Jones e ci rimane per tutta la canzone; intona solo il ritornello in contrappunto al solista – quello che fa «Ahahahah Ahah Ohohoh Oh Yeah» – ma è talmente bella, la voce di Mick, che se quel contrappunto non ci fosse, «Pressure Drop» magari sarebbe una canzone come tante altre; ed anche è talmente bella la voce di Mick che il “poco” che fa vale tanto quanto il protagonismo assoluto in «Train In Vain».

Buon ultimo, Joe Strummer si prende tutto. È Joe a cantare quasi tutte le canzoni dei Clash, ma se volete afferrare un brandello della sua vita, la sua passione, la sua arte, non se ne esce: per forza va ascoltata «Pressure Drop» e poi «Redemption Song» (questa, nella versione con Johnny Cash): due brani di identica matrice reggae, rese però in modi incomparabili, perché la grandezza di quest'uomo era incomparabile. Quando appresi della sua morte, ricordo che ero in auto sul grande raccordo anulare di Roma; mi persi l'uscita perché Joe Strummer non poteva essere morto per davvero; arrivai a casa ad un'ora invereconda e la prima cosa che feci fu mettere su «Black Market Clash» per risentirlo cantare «Pressure Drop»; «Redemption Song» con Cash fu pubblicata nel 2003 nella raccolta «Unearthed», ed anche Cash era morto da pochi giorni, e da allora ho sempre pensato che tra Johnny e Joe ci fosse un rapporto come quello tra un padre ed un figlio, una volta messi da parte inevitabili conflitti ed incomprensioni; e poi nel libretto di «Unearthed» c'è una foto di Johnny e Joe che ogni volta che la guardo mi metto a piangere come un fesso.

Rimarrebbe da dire di Nick Headon e di come suona in questo brano magnifico, ma che vuoi dire del vecchio “Topper”?

Rimarrebbe da dire pure di «English Civil War» sul lato A e della bellissima copertina ispirata alla fattoria degli animali, ma non serve neppure questo.

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