Indubbiamente questo salto dal 2008 al 2009 non ha certo visto opere musicali degne di particolare nota.

Beh... è una frase ottimistica, quasi un eufemismo fatto a periodo.

Nella realtà solo la gigantesca passione che proviamo per strumenti e sette note ci può portare a credere che il mondo della musica cosiddetta leggera abbia realmente ancora qualcosa da dire.

Cobain si uccise, pare, dopo aver detto che le corde della chitarra sono sei, e più di tanto non ci puoi tirare fuori. O qualcosa di simile... insomma, il concetto era quello, e non era del tutto sbagliato.

La musica cosiddetta leggera, sia che si tratti di canzone d'autore, di rock o pop, ha in sé canoni "finiti" (nel senso di "non infiniti"). Tutto nasce dal blues e dal country inteso in senso estremamente lato (mettiamoci dentro dalla grande canzone napoletana a quella irlandese, con conseguenti ed ormai antiche invasioni del mondo) e dopo opere come, ad esempio, "Bone Machine" di Waits, le strade della ricerca, della scomposizione e ricomposizione della forma canzone sembrano davvero essere esaurite.

Quindi è senz'altro con occhio disincantato, certamente aggravato dall'età, che non riesco a vedere alcuna personalità nei gruppetti con vocine acute da "soldore solredo"... o nelle fighette gorgheggianti al di qua ed al di là dell'Oceano, o nelle chitarre fintamente e tristemente distorte o nelle batterie tutte uguali, ramate quanto spersonalizzate.

Così come non mi emoziona vedere illustri sconosciuti, meteore già in partenza, che sbandierano il proprio nome come se questo fosse non un insieme di lettere ma la tavola delle leggi.

Qui invece c'è una persona il cui nome basta, di per sé, a vendere automaticamente centinaia di migliaia di copie d'un disco, per brutto o inutile che possa essere.

Ha 65 anni. Fa un disco vero, originale, sentito. Forse non nuovo (ma, ripeto, di nuovo non c'è più nulla, e non si ceda agli innamoramenti personali o generazionali...: è così) ma senz'altro un disco ben fatto, che viene dritto dall'anima e dal cuore.

E nasconde il suo blasonatissimo nome.

È passato parecchio tempo da quando, mescolando il rock 'n roll, il soul, il country e la canzone d'autore, insieme a tre amici anch'essi inglesi, conquistò il mondo.

Poi fece un altro gruppo, e poi se ne andò da solo. Moltissimi dischi, alcuni molto belli, altri che riempiono lo scaffale senza nulla dare né nulla togliere. Tanto talento, tanta professionalità e tanta serietà.

Fino a questo disco che solo per lo pseudonimo venderà pochissimo rispetto alle potenzialità del personaggio, e che è invece pieno di cose davvero belle. Atmosfere psichedeliche, sperimentali, accanto ad arpeggi ed armonie più tradizionali. Testi abbozzati ed altri curati. Voci pulite accanto a voci distorte. Nulla di nuovo ma nulla di banale. Soprattutto un'opera che tiene conto, senza spocchia, di tutto quel che c'è stato prima.

Insomma: l'unico disco non banale che mi sia capitato di sentire ultimamente viene da un sessantacinquenne.

Un sessantacinquenne che ha fatto la storia della musica leggera, e che oggi, nel momento della realizzazione della previsione warholiana del quarto d'ora di notorietà per tutti, gioca a nascondere il suo nome.

Facendo solo buona musica, con parole giuste. Quello che, evidentemente, è nato per fare.

E bravo Macca, con tutta l'invidia e l'ammirazione di cui son capace.

Elenco e tracce

01   Solstice Ambient Acapella (15:12)

02   Traveling Light Instrumental (08:18)

03   Wickerman Ambient Dub (12:43)

04   Morning Mist Instrumental Dub (05:42)

05   Equinox Instrumental (08:23)

06   Sawain Ambient Acapella (04:52)

07   Sawain Instumental Dub (04:53)

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