Bisogna che mi aggiorni prima o poi…

Il 'nuovissimo' disco che mi accingo a recensire, lo dico subito, mi piace molto. Quindi, se non l’avete mai ascoltato prendete con le molle tutte le cazzate che leggerete. La fanfara che apre "This Is What happen" è già un’indicazione precisa, e il titolo una specie di dichiarazione di intenti. Batterie(!) e percussioni sparate sostengono le improvvisazioni sguaiate e allegre di Charig e Tippett. Il finalino col trombone 'velocizzato' si deve a Nick Evans, che, con il nastro accelerato, era convinto di assomigliare a Freddie Hubbard. Bè … bella comunque l’idea.

I 10 minuti abbondanti di "Thoughts To Geoff" cominciano sospesi in un’improvvisazione collettiva e poi sfociano in un bel jazz ritmico e parecchio ‘free’, con tutta la band che si impasta a meraviglia, gli assolo che si susseguono fluidi e la cornetta di Charig in evidenza. "Green And Orange Night Park" parte cadenzata e acida, e prosegue con un continuo crescendo ad accompagnare il sax di Elton Dean, che sembra già anticipare le atmosfere di "5" dei Soft Machine, in uscita di lì a un anno. E poi c’è qualcosa di incosciente e provocatorio nell’infilare uno dietro l’altro i deliri di "Gridal Suite" e soprattutto di "Five After Dawn" … forse i 22 anni di Keith Tippett che, più o meno all’età di Avril Lavigne, aveva già rifiutato di entrare in pianta stabile nei King Crimson per continuare a suonare la musica che più gli piaceva.

Tutti i pezzi registrati per il disco, per quanto imperfetti o autocompiacenti in certi punti, hanno un’energia loro che a mio parere le rende esplosive, caotiche, molto belle. Di "Black Horse" si è detto che ha un andamento ritmico che ricorda Santana. A me viene in mente anche qualcosa dei Nucleus, ma il giochino delle similitudini è per orecchi allenati, e per me finisce qui. In generale comunque il paragone può riguardare alcune sonorità (e l’attitudine) più che lo stile. In quest’album le improvvisazioni collettive, le bordate strumentali e il lato 'emotivo' della musica prendono spesso il sopravvento a discapito della fluidità e della struttura dei pezzi, nel bene e nel male. Forse un purista del jazz più raffinato potrebbe storcere il naso di fronte all’incedere chiassoso e un po’ sbilenco di questo album… questione di punti di vista.

Resta il fatto che, a 35 anni di distanza, si sentono ancora la freschezza di idee, l’energia e il gusto di suonare. Bellissima la copertina e l'artwork disegnati da Martin e Roger Dean (quello dei cervi spaziali degli Yes e degli elefanti-libellula degli Osibisa) con il feto 'cerebrale' e la mamma che sussurra il titolo dell’album.

Ammemmepiace.

 

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