La serata del 15 Maggio 1953 alla Massey Hall di Toronto, rappresenta il culmine della parabola Be Bop.
Una parabola iniziata un decennio prima, nelle notti di jam al Minto's Playhouse di New York. Lungo questa decade, tutta la rivoluzione e tutti gli eccessi che porteranno il Jazz a diventare un autentico stile di vita, in cui riversare la rabbia, la gioia, la voglia, la disperazione, la rottura con schemi passati; una rottura che rappresenta ben più che la "semplice" rottura, appunto, con gli schemi musicali dell'epoca pre-Bop.
The Quintet, sì, ovvero Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bud Powell, Charlie Mingus e Max Roach. Una cosa solenne insomma. Solenne come quando dici Rhythm Section e pensi subito ai ragazzi di Miles.
La raffinata beltà di "Perdido", classico del Duca che ha il compito di aprire la serata, provaca orgasmi al pubblico, e i climax di ogni fine frase di Charlie e Dizzy, praticamente, lo fa eiaculare. I ragazzi, e quel senso di infima nostalgia che regalano con le note di "All the Things You Are", un senso quasi sussurrato con forza. "Salt Peanuts" di Dizzy prolunga il senso di piacere portando la serata alla ecitazione. Anche Dizzy era eccitato quando urlava "Salt Peanuts", mentre un indiavolato Charlie saliva e scendeva dal paradiso e dall'inferno con il suo contralto. Delle cose consegnate alle generazioni future del popolo del Jazz, ma anche cose (ri)consegnate dai protagonisti stessi alla propria intimità.
Un viaggio con sè stessi: Powell la oscura follia, Parker la esasperazione del talento, Gillespie la magia del creare, Roach la diligente estrosità e Mingus l'ovattato mistero, come il suono del suo contrabbasso. "A Night in Tunisia" ad esempio, famosissimo standard di Dizzy, racchiude tutto questo: è misticismo, ipnosi, chiaroscura trascendendalità. Poi finisce, e finisce il disco. Lo si può togliere oppure morire, ricominciarlo e rivivere.
Un disco in perenne stato di vita e di morte, due condizioni che però si annullano, perchè nella dimensione del disco, sarebbe banale perfino parlare di vita e di morte. Ricordo il giorno in cui morì Max. Dicevano che non era più autosufficiente (...). Roach è stato l'ultimo dei ragazzi del Quintetto ad andarsene. E Charlie? Talmente in là nel tempo che nei giorni nostri si è persa la memoria. Max era vecchio, e forse il senso del tempo, non solo nella accezione musicale, era rimasto nei suoi ricordi abbandonando il suo corpo. Max era morto, così, nel sonno, una morte non da jazzista. Era tornato a vivere con i ragazzi del Minto's, in un posto che non conosciamo, ma che dovrebbe somigliare alla Massey Hall di Toronto. Sicuramente.
Si erano divertiti, quella sera. Unica pecca, il senso di "vuoto" in alcuni casi tra un pezzo e l'altro, poichè questo è solo un assaggio di una serata molto più eterna, in cui si suonava anche "Lullaby of Birdland".
Buonanotte, Charlie. Suonamela la ninna nanna, perdi(d)o...
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