Dopo aver pubblicato 2 recensioni alquanto scarne sui contenuto del disco preso in esame e accolto in coscienza questa critica, mi soffermo e produco qualcosa di più "documentaristicamente" adeguato, benchè frutto dell'ennesima notte insonne e dunque incline a sfoghi di tipo emotivo-sentimentalistico, che è improbabile non tarderanno ad essere soffocati e ricacciati nel buco da cui erano usciti, temerari, un po' come gli insetti della toilette di Emidio detto Mimì Clementi.

Parliamo dei The Section, che prenderemo per buoni come nome e di cui nemmeno la mamma Rete ci fornisce granchè a livello biografico, e dei Radiohead. Dei secondi musicalmente qui su Debaser si è detto di tutto e non vale (forse) la pena magnificare ulteriormente l'opera dei nostri di Oxford. Allora come è giusto tentiamo di soffermarci sui primi. E tentiamo di ascoltare questo disco come qualcosa di nuovo, scevro dalla sua creatura matrice. Ma come direbbe il Doc Emmett Brown "non possiamo! Ciò causerebbe un'anomalia nel continuum spazio tempo!"Pare in effetti inevitabile discriminare il prodotto dalla fonte, e chiosare sulla qualità della roba che ci accingiamo a bere, che, quantunque offerta in calici di diversa foggia dalla distorsività computerina dei Nostri di Oxford risulta di uguale odore e sapore. Perfino il chitarrino mandolineggiante elettrico è imitato alla perfezione in Airbag, pezzo però reso un pò scialbo da un violoncello forse un pò troppo cupo, li sullo sfondo (scusatemi in anticipo per le vaccate che potrei dire nella distinzione degli archi, cercherò di non farmi pesarel'occhio e procederò più chiaro che posso).

La traccia numero 2, Paranoid Android, è un pezzo che vale il prezzo del biglietto o dell'appropriazione campale, se mi lasciate questa definizione. Un susseguirsi di brividini lungo la schiena, sin dall'inizio fin alla chiusura, contornati da ammirazione per essere riusciti a trasformare un bel ritratto rock-digitale androide in un dipinto rinascimentale, come se per incanto la scenografia di un gioco di avventura per computer venga rivisitata e trasformata in una sua visione bucolica alla Barry Lyndon. Rimandi di pizzicato e distorsioni qua e là, e pure qualche stecchetta (volutamente) lasciata lì, come pennellate grezze che restano a macchiare grossolanamente il mare su di un quadro impressionista per renderlo meglio in tempesta. Traccia numero tre e Alieno sotterraneo che ha nostalgia di casa, e a mio parere pure di chitarra e voce di Johnny e Thom. Allora, come giustamente viene suggerito da un nuovo incedere pizzicato tanto aggraziato per queste melodie, usciamo dalla musica e andiamo a vederci un film, traccia numero 4 e ancora brividi a darci fastidio e contemporaneo piacere. Al minuto 3 circa, comincia la rincorsa finale del brano con partenza spettacolare e rintoccante, e finale strozzato e deangosciante, sporcato dall'orribile chiosa che ne macchia ineffabile lo sfumato d'uscita. Traccia 5 e ancora godereccio l'intreccio degli archi.

Questa recensione sta diventando illegibile, lo ammetto. Spero di non avervi annoiato troppo finora e di essere già stato fanculizzato per mettere su il meritevole cd. Vado avanti. Anzi no, perchè la polizia del Karma forse li sta cercando a sirene spiegate e stavolta a ragione, per l'esecuzione alquanto aleatoria della traccia numero 6. Ma questo è un cd evidentemente che viaggia come i bit, 0 e 1, una buona e una scarsa, e la traccia numero 7 (anche se era un'operazione indispensabile considerando il pezzo originale), pare tutta una nuova melodia, una bonus track fuggita postuma dalla colonna sonora di Schindler's list. Traccia 8 merda allora. E invece no. Ci troviamo a mio parere di fronte alla rivisitazione più interessante di tutto il tributo a Ok Computer, una Electioneering spettacolare, un arrangiamento ottimo e che mi ricorda l'amata Eleanor Rigby nel suo incalzare e soffermarsi languido sulle partidi stacco tra una frase e l'altra del discorso violinistico. Voto 5 su 5 al disco solo per questa traccia 8. (Sarei curioso, dopo aver sentito questa, che i The Section proponessero, se l'avessero già fatto che mi si dica per piacere, altri pezzi brit-pop, ad un eventuale concertogli richiederei senza remore Parklife o She's electric. . . . cioè ma ve la immaginate Parklife fatta così? Figata assoluta. . ). La traccia 9 è un pezzo che non ho mai amato nemmeno nella sua versione originale, dunque non mi soffermo. Traccia 10, No surprises era la logica, era lo scontato, e invece molto meglio la celesta di messere Yorke in sua vestigia originale. Traccia 11 e ne abbiamo fin sopra i capelli di questo cd, riuscendo a non sputarlo fuori dal lettore per i più temerari si arriva alla traccia 12, che tra patemi d'animo per la scampata crisi di nervi si rivela essere anch'esso un ottimo episodio, che vale la riproposizione.

Detto questo vi chiedo di pazientare ancora un 13 secondi e mi soffermo ulteriormente per una panoramica veloce sull'universo cover Radiohead a me conosciuto:

  1. C. O'Riley, mai sentito e appena conosciuto qui su Debaser, di cui mi procurerò qualcosa;
  2. Rodeohead, da sentire qui celebre e se non conosciuto da non perdere;
  3. Brad Meldhau, divino al piano con una reinterpretazione assolutamente innovativa e godibilissima;
  4. Radiodread (Easy star all stars), versione reggae dei Nostri, pietanza indigesta forse, ma che ad un secondo ascolto si rivelerà metabolizzabile principalmente per la mania iconografica di cui ormai siamo posseduti, al quarto imitatore-riproduttore e secondariamente per qualche versione che strappa un sorriso a mezza bocca o a esse magari. .

Voi ne conoscete altri? Riproposizione dell'atmosfera "celò-mimanca" da album Panini da proseguire nell'eventuale vostra gentile decommentazione. .

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