02 Luglio 1816, crociera di servizio verso il Senegal, allora colonia, della fregata francese "Méduse".

La nave è comandata dal Tenente di Vascello Hugues de Chaumarey, fulgido esempio di come un Ufficiale o comunque un uomo abilitato al comando di suoi simili e ancor peggio, di mezzi, possa, con una dose eccessiva di incompetenza e un pizzico di arbitraria albagia, mandare a morire i poveri membri dell'equipaggio. Un tozzo di pane va dato sempre a chi non può addentarlo.

Il geniale navigatore, abile ed esperto lettore di carte nautiche tralasciò l'ininfluente particolare che erano datate 1753 (!), riuscendo, con metodo, ineccepibile sprezzo del pericolo e abnegazione d'acciaio, a far incagliare l'imbarcazione su un banco di sabbia a 5 metri sotto il livello del mare. Un po' come se io oggi, 2011, mi stessi arrovellando su come gabbare le guardie del muro per andare dal versante Ost di Potsdamer Platz alla Porta di Brandeburgo. Scoprendo, con sorpresa per giunta, che l'ostacolo è ricordato con una striscia di porfido tracciata sull'asfalto. Stupefacente!

Per dare un tocco di "noir" alla vicenda, la fregata si arenò a circa 87 miglia nautiche dalla costa e per concludere in bellezza e "suspence" le condizioni del mare erano assolutamente favorevoli. Forza 5/6 della Scala Douglas. Inutile dire che gli operai pagheranno il disonorevole dazio del novantesimo grado adagiati su una scialuppa che verrà assolutamente plasmata dalle onde in furia per diversi giorni. Fame esasperata, isteria, suicidi e cannibalismo, furono i tragici protagonisti dell'evento, fino allo stremato salvataggio da parte dell'Argo. La storia narra che dei 152 occupanti, sulla zattera ne rimarranno vivi solo in 15. Il resto verrà inghiottito dal mare e da incontrollati animali affamati. Bastò tanto per indurre il buon Géricault a trasferire su tela la tragedia.

Il fulcro dell'opera è il contrasto. Di esternazioni fisiche, manifestazioni di pathos, sentimenti, colori. L'andare controcorrente è il vero punto di forza del dipinto, il tocco di genio dell'artista. In una immagine che illustra un naufragio si dovrebbe percepire l'egemonia schiacciante del mare, fenomeno dominante della scena. Géricault lo riduce ad elemento di contorno, anzi, di disturbo oserei dire, malcelandolo tra onde, nonostante tutto, rese poco inquietanti nell'avvelenare ulteriormente i già provati sventurati.

Una prassi abbastanza consolidata, vedrebbe, in uno scenario tipico, un largo uso di colori freddi, maggiormente suggestionati dalla presenza del mare in agitazione. Navigando controvento, è proprio il caso di affermarlo, Géricault preferisce un largo uso di colori caldi, corpi luminosi, con un dominio volontario del rosso, atto a rendere "sanguigna" la scena. Nessuna propulsione può risultare più significativa, efficace, in una situazione del genere. Quella del sangue nel donare vigore alle membra stremate dei naufraghi ormai rassegnati. Tranne i cadaveri, con gli arti abbandonati ai movimenti irregolari delle acque, c'è chi ha la forza di reagire al destino fino ad arrampicarsi per sventolare la loro presenza alla salvezza apparsa miracolosamente in profondo orizzonte. Si può leggere lo sforzo innaturale nel richiamare l'attenzione, quelle contrazioni al limite delle forze con i nervi spinti più per inerzia che per volontà, per dimostrare ancora una volta che pur in un viaggio al termine della notte, prima o poi la luna deve cedere il passo al sole.

Notevole è la direzione di "lettura" dell'opera, da sinistra verso destra dal punto di vista grafico e viceversa da quello emozionale. Per quanto concerne il primo punto, partendo da sinistra, sembra che il grappolo di naufraghi formi un corpo morto che prende forma in pochi passi graduali, fino a mostrarsi in tutta la sua bellezza erigendosi con forza verso la speranza avvistata all'orizzonte. Partendo dal cadavere incastrato nella carena e trascinato dalla corrente, si attraversano le anime inginocchiate, ferite, morsicate, fino a raggiungere il picco più alto indicato dai marinai arrampicatisi sulle botti per rendersi visibili alla nave in soccorso.  

Tornando indietro sui nostri sguardi è possibile cogliere la profondità del quadro, toccarne l'anima e inchiodarne il pathos. Sembra sentire le urla dei marinai sventolanti che riescono a svegliare le speranze ormai assopite delle figure inginocchiate. Quest'ultime arrancano verso quelle urla, si sforzano a seguirne la provenienza per poter smorzare quell'incredulità tradotta in smorfie su quei visi stanchi. Paradossale è poi la penultima figura che sembra non sentire la gioia furoreggiante di quelle urla. Sembra non voglia crederci, o addirittura non volerle udire, con quel pessimismo glaciale che trapela da uno sguardo apparentemente spento, vuoto. La sua ultima volontà è quella di sfruttare le ultime forze per trattenere quel corpo esanime dando così l'impressione di risultare come un intruso, nel complesso della rappresentazione.

"...il mare cancella, di notte. La marea nasconde. E' come se non fosse mai passato nessuno. E' come se noi non fossimo mai esistiti. Il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni..."

Alessandro Baricco - Oceano Mare

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