La morte di Heath Ledger, le voci e polemiche relative alla sua prova nell'imminente "The Dark Knight", dove il fu-australiano interpreta il personaggio di Joker, mi hanno spinto a rivedere il famoso "Batman" ('89) di Tim Burton, per discuterne assieme a voi su queste pagine.
Confesso che, fra i vari fumetti di matrice americana, Batman è il mio preferito, sia per la caratterizzazione del personaggio, che per i tratti dei villains di turno, davvero i più interessanti della narrativa fumettistica del '900, e talmente ben caratterizzati da rubare la scena allo stesso protagonista.
La generazione cresciuta negli anni '70-'80 non può del resto dimenticare il simpatico - anche se stucchevole ed involontariamente (?) comico - telefilm con Adam West e Burt Ward, che ha mantenuto vivo il personaggio nell'immaginario collettivo dei ragazzini dell'epoca, oltre ai suggestivi cartoons quasi gotici che, negli anni '90, sono stati programmati con grande frequenza nelle reti private del Cavaliere (nero pure questo).
Ciò premesso, debbo ammettere che il "Batman" di Tim Burton fu per anni il mio film preferito, fregiato addirittura da una doppia visione al cinema - con doppio pagamento di biglietto - essendo io estasiato dalla messa in scena dell'allora prodigioso regista statunitense, oltre che dalla funanbolica prova attoriale di Jack Nicholson nella parte del buffonesco Jocker e (vabbè) dalle gambe di Kim Basinger.
Ma come tutti i ricordi di gioventù, anche questo film merita una piccola revisione, in chiave critica.
A circa vent'anni dalla sua uscita, infatti, "Batman" appare come un film piuttosto ingenuo, non coraggioso come altri di Burton, e, nel complesso, piuttosto superficiale, pagando dazio all'esigenza di un linguaggio semplificato, hollywoodiano, non nero come invece il fumetto originario avrebbe richiesto.
Vero è che, secondo quanto osservato da alcuni critici, il film ironizza molto sul linguaggio pop - tanto che Nicholson stesso lo paragona ad una tavola di Roy Lichtenstein - e le imprese di Joker sembrano espressione di un furore iconoclasta, anticonsumistico, mediante l'uso criminale di oggetti di uso comune (lacca per capelli, trucchi, prodotti alimentari) quali strumenti di morte, come pure dell'esigenza di una rottura rispetto al passato all'insegna di un futurismo alla Marinetti (qui non si distrugge Venezia, ma si devasta un museo), ma, tolto questo, ciò che rimane, è, al dunque, un film quasi contraddittoriamente destinato al largo consumo, il cui valore scende con il passare degli anni.
Basti una visione attenta, per esempio, ad alcune scene di azione, che a tutt'oggi risultano invecchiate, lente ed a tratti noiose (sequenza nella fabbrica di chimica, sequenza finale addirittura frettolosa e poco convinta), agli interludi comico brillanti in cui Michael Keaton dimostra di non avere il carisma sufficiente per farsi carico del personaggio di Bruce Wayne (mancanza di carisma che ne ha, non a caso, compromesso la carriera successiva), alle fiacche scene sentimentali in cui la Basinger stessa non dimostra questo gran talento recitativo.
Le stesse musiche di Prince risultano quasi funzionali ad un enorme spottone autopromozionale del genietto di Minneapolis, ai tempi già avviato verso la fase più critica e deludente della sua carriera (lo si sarebbe capito con il classico senno di poi).
Su tutto, si staglia, ovviamente, l'impersonificazione del Joker da parte di Nicholson: nessun dubbio che, fra cinquanta o sessanta anni, questo film verrà ricordato, rivisto, e riprogrammato soprattutto in onore della prova dell'attore del New Jersey, il cui ghigno diabolico, in parte naturale, in parte introiettato dai tempi di "Shining", segna la totale immedesimazione del vero Jack nell'omonimo Jack Napier.
Pierrot diabolico, clown malvagio, veicolo di dolore travisato da giocattolo, il Joker si giova dell'interpretazione di Nicholson per parlare, soprattutto, al nostro inconscio, ovvero al bambino che, in noi, teme le anime oscure, le porte buie ed i pericoli dietro le maschere più innocenti. Stephen King su queste ossessioni ci ha scritto "It", mentre la cronaca ci ha restituito, beffardo emulo del Joker, un personaggio non da poco come John Wayne Gacy, un po' diverso dall'omonimo Bruce.
Cercando di sintetizzare le sensazioni provate rivedendo questo film in un voto, darei al "Batman" di Burton un tre stelle complessivo: questo cinepanettone hollywoodiano (benchè uscito in estate ed arrivato da noi in autunno) resta, al dunque, uno sfondo su cui emerge un diavolo che balla nel pallido plenilunio, il Joker appunto.
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