Non lascerà che polvere sulla sua strada.

L'Arcimboldi si presenta già nel tardo pomeriggio come un bel mix di genti e stili. Ci sono i nerd con gli occhiali neri che parlano di "Bone Machine", gli epigoni del Nostro che ostentano berrettacci di pannetto sotto il sole di luglio, eppoi coppiette romantiche al Caffè Concerto, ovvero i patrizi, e quelli che invocano dalle mani bisunte di un porchettaro panini e birre, gli splendidi plebei.

L'entrata a teatro assomiglia al riempimento di una mastodontica Arca di Noè. C'è anche qualcosa di Babeliana memoria, tant'è che nella mia solita pisciata preconcerto un tizio intento a sciacquarsi le mani mi guarda e abbozza un: "it's gonna be cool?".
Sperem, penso io in modenese.

Arriva anche Manuel Agnelli. Finalmente il rituale può incominciare.

Entra la band. E nell'oscurità appare la torva figura di Tom Waits. Il lampore delle luci rosse è il preludio a un ruspante inizio, affidato a "Lucinda".

"Rain Dogs", l'album a cui chi scrive è più attaccato, è rappresentato in questa sede da "Rain Dogs" e da una "Jockey Full of Bourbon" diversissima. A questo proposito una considerazione: la band è un po' una delusione. Scolastici e prevedibili, si limitano al compitino, senza un guizzo. Senza un briciolo di carisma.

La voce di Waits, all'inizio apparentemente provata dalla terza serata consecutiva, si potenzia col passare del tempo. Alla fine ruggisce con ardore. Tom dà l'idea di un serpente duro a morire, che striscia, sbatte sollevando polvere, lo dai per morto e inesorabilmente morsica, iniettando veleno.
Ecco, a lui il carisma non manca di certo.

Splendida la variante slow del concerto con quattro brani mgistrali suonati con eleganza da quello che anni fa era un pianoforte un po' alticcio, accompagnato soltanto dal contrabbasso. Quattro brani, quattro perle: "On The Nickel", "Tom Traubert's Blues", "House Where Nobody Lives", "Innocent When You Dream", sono leggere come abbracci.
Non c'è scampo in questi casi. Ti verrebbe da maledirlo quasi?

Per l'intero concerto Waits alterna brani più e meno recenti. Si va da "Cold Cold Ground" a "Bottom of The World", da "Hang Down Your Head" a "Way Down In The Hole". Il finale è lasciato alle potenti tracce di "Real Gone", ultimo capolavoro dato alle stampe. Le note di "Hoist That Rag" (ma quanto mi è mancata la chitarra di Marc Ribot?!) e di "Make It Rain" diventano delle grida corali. Il battimani è incontrollabile. E Tom esulta, quasi fosse un domatore di fiere.  

Lo invochiamo per un un secondo bis. Le luci e la musica sembrano presagire una "Time" regalata sul filo di lana. Invece niente. Può bastare.

Perchè l'Orco di Pomona è stato qui (finalmente) e si è sentito.
Nelle orecchie tra l'altro anche una frase ringhiata: "in France you can go to a jail if you kiss a stranger?". Sembrava un avvertimento a quelli che di lì a poco l'avrebbero sentito a Parigi.
Pazzo. Pericoloso. Maledetto Genio.

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