Misurare il diametro del cosmo

Quella notte non riuscivo proprio a dormire. Ascoltare un disco e leggere qualcosa poteva rappresentare un rimedio all’insonnia. Allora ho iniziato a guardare una dietro l’altra le copertine di decine di cd senza, però, riuscire a sceglierne uno adatto al momento. Esasperato dall’indecisione, ho acceso la radio, perennemente sintonizzata sui 94.5 in modulazione di frequenza: Radio 3. Mi aspettavo una sinfonia, qualche concerto per pianoforte, un quartetto d’archi, invece è arrivata una musica inattesa e sconosciuta.
Dei suoni fluttuanti, ondulati, vibranti, minimali hanno pervaso la stanza ipnotizzandomi. Note trasparenti, melodie ripetute di continuo, echi elettronici, delicati arpeggi di chitarre, ritmi spezzati hanno generato una percezione d’infinito, che in breve ha fatto naufragare la mia mente. Il corpo era immobile e il respiro regolare, quasi a non voler intaccare quelle sensazioni.
Dimenticatomi completamente del sonno, ascoltavo avvolto nel buio, con gli occhi spalancati ad osservare il nulla.

Speravo di poter conoscere l’autore di quella musica ed alla sua conclusione, dopo un attimo di silenzio, dall’altoparlante è giunto un nome: “Trapist”. Senza pensarci l’ho scritto su un pezzo di carta e sono andato a dormire. Ma l’eco di quei suoni era rimasto in me e nel sonno mi sentivo intorpidito, privo di peso come se stessi galleggiando tra flutti pigri.
Il giorno dopo la mente, annullata per il naufragio, non aveva comunque dimenticato quel pezzetto di carta scritto nella notte e un nome: “Trapist”. La successiva e inevitabile ricerca mi ha fatto scoprire in poco tempo il titolo del disco: “Ballroom” (Thrill Jockey - 2004).

Il nome del gruppo, un omaggio al silenzio ispirato dall’ordine dei monaci trappisti, celava un trio proveniente da Vienna composto da Martin Brandlmayr (batteria, percussioni, vibrafono e sintetizzatori), Joe Williamson (contrabbasso) e Martin Siewert (chitarre, elettronica).
“Ballroom” è per la cronaca il loro secondo album e rappresenta la testimonianza di una sessione di improvvisazioni contaminate elettronicamente. Mi ci sono voluti un paio di mesi per farlo arrivare e scoprire il titolo della musica ipnotica di quella notte: “Time Axis Manipulation”, una suite in due parti di diciannove minuti. A questa seguono altri due brani più brevi, ma sempre intensamente alienanti: “Observations Took Place” e “The Meaning Of Flowers”.
Il disco finisce con un’altra interminabile eterea immersione sonora dal titolo “For All The Time Spent In This Room”.

In questi giorni l’ho ascoltato e riascoltato continuamente, traendone ogni volta sensazioni non molto dissimili da quelle descritte. Tuttavia, non sono ancora riuscito a ritrovare la stessa magia di quella notte, forse perché certe emozioni si possono provare una volta sola.

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