George Emmanuel III, in arte Trey Azagthoth, nasceva il 26 marzo 1965 in quel di Bellingham (Stato di Washington), ed è noto ai più per essere il chitarrista, nonché fondatore e maggiore compositore, dei Morbid Angel, vera istituzione in ambito death metal. Non staremo in questa sede a ricordare la sua importanza all’interno del genere, basti dire che insieme al divino Chuck è l’artista più influente in materia di death metal: il suo chitarrismo morboso ed espressionista (che pare veda fra le sue maggiori influenze Mozart e Van Halen!) diverrà uno standard, un riferimento obbligato per tutte coloro che vorranno cimentarsi con questo genere musicale.
Ma chi è in realtà Trey Azagthoth? Lo abbiamo conosciuto come il leader incontrastato, il padre-padrone dei Morbid Angel, il musicista estroso e il compositore maximo della band. Personaggio schivo, incazzoso, intransigente e permaloso, quelle che ti butta fuori dal gruppo se non gli vai bene. E poi mai un sorriso o una posa gioiosa: sempre chinato sulla sua chitarra, con i capelli che gli coprono il volto, oppure nascosto dietro impenetrabili occhiali da sole nelle foto ufficiali.
Eppure, ascoltando la discografia dei Morbid Angel, potrebbe emergere un altro Trey Azagthoth: più fragile, insicuro, meno burbero e despota di quanto possiamo credere od egli ci faccia credere od egli stesso si creda. La mia analisi, lo premetto, non si basa su una ricerca approfondita o su fonti documentate, né aderisce alla dichiarazioni ufficiali via via rilasciate dall’artista, ma su impressioni che si ricavano dalla lettura della sua musica: soggettive speculazioni di pensiero (ahahah - questa la capiscono in pochi!) che tendono ad individuare e seguire un filo invisibile che si dipana lungo il cammino della sua incredibile band. Un’interpretazione dunque più che un’analisi, e pertanto, in quanto interpretazione, essa presta il fianco a critiche o a pareri contrari. Ben vengano.
Grazie al cazzo: in “Altars of Madness” Azagthoth è ovviamente il membro di spicco, nella sostanza, in quanto compositore principale, ma anche per diritto, in quanto fondatore e memoria storica della band. E' infatti il superstite del nucleo originario dei Morbid Angel (con un certo Sterling Von Scarborough al basso, e Mike Browning, poi fondatore dei Nocturnus, alla voce ed alla batteria): una formazione che conosceremo grazie alla ristampa, qualche anno più tardi, del demo “Abominations of Desolation”. Attenzione però, non è da poco il contributo dei nuovi compagni di viaggio, e che compagni di viaggio!, aggiungo io: lasciando perdere per un attimo il secondo chitarrista Richard Brunelle (una scoreggia vellutata agli albori del metal della morte), ritroviamo in formazione la cazzutissima sezione ritmica dei Terrorizer, ossia Dave Vincent e Pete Sandoval, e guarda caso, il death metal di “Altars of Madness”, se raffrontato con quanto realizzato in precedenza (roba più decisamente thrash oriented), prende sicuramente qualcosa in prestito, quanto a brutalità e precisione, proprio dal grind dei Terrorizer. Ma senza stare a fare i pallosi, potremmo concludere semplicemente che i primi Morbid Angel erano un coacervo di personalità forti e convergenti: nell’inesperienza e nella foga giovanile, questa era sì gente con i controcazzi, ma pur sempre gente giovanissima; questi erano ragazzi, musicisti che si dovevano ancora formare.
In “Blessed are the Sick” le cose mutano: la band ci appare più consapevole dei propri mezzi e delle proprie potenzialità, il sound dei Morbid Angel è più originale e si fa decisamente più personale, ma anche più vario e melodico, grazie anche all'inserimento in scaletta di diversi brani strumentali a base di tastiere. “Blessed are the Sick” rimarrà paradossalmente l'album più melodico di questa prima fase e forse il più malinconico dell'intera carriera, e sapete come veniva identificato l’altro chitarrista Richard Brunelle? "L'anima malinconica dei Morbid Angel". Sarà un caso? Se in fase di scrittura Brunelle avrà scarso peso (è tutto suo comunque un bell’interludio acustico, l’unico nella storia della band), è indubbio che la sua presenza abbia arrecato un’impronta precisa al sound complessivo della band. E si parla di uno buttato fuori a calci in culo e poi sparito per sempre. Nel frattempo Sandoval raffina il suo peculiare drumming schianta-tendini e Vincent inizia ad atteggiarsi da bonazzo, imponendosi come visionario paroliere dalla patta semi-aperta e front-man carismatico della band.
Fuori Brunelle, si pesta: “Covenant” è l'album più compatto, rigoroso, il luogo dove le tre personalità superstiti convivono armoniosamente, costruendo letteralmente il Morbid Angel sound, destinato a fare scuola negli anni a venire (se volete spiegare ad un bimbo di tre anni cos’è il death metal fategli ascoltare “Covenant”). Sandoval dispensa lezioni di classe sopraffina (non una sbavatura, non un colpo fuori posto: già membro di spicco, negli anni precedenti, nel club dei promotori del blast-beat, adesso sale in cattedra con le sue ritmiche marziali e con la sua micidiale doppia cassa). Vincent acquisisce spazi crescenti, non tanto come bassista, ma piuttosto come vocalist autorevole e portatore del messaggio lirico della band (i testi sono tutti a sfondo satanico, ferocemente anti-cristiani e, a volerla vedere bene, anche un po' fascisti: tutti elementi che contraddistinguono il Vincent-pensiero, e molto meno l’immaginario fantastico di Azagthoth, che preferisce attingere dall’universo letterario lovecraftiano - filone delle divinità sumere compreso). Azagthoth dal canto suo non fa certo sentire la mancanza di Brunelle (anche se, a dirla tutta, il songwriting è nel complesso un po' più opaco, le composizioni più omogenee e prevedibili), tuttavia, dei tre, è incontestabilmente quello che progredisce di meno: partito in netto vantaggio rispetto ai suoi compagni, nell’arco di soli tre album (dal folgorante esordio, al disco della maturità formale, passando dal geniale capolavoro che conserva però qualche ingenuità), taglia il traguardo del successo (“Covenant” vanta il primato di album death metal più venduto al mondo) con il fiato corto, già raggiunto dagli altri due velocisti.
Se “Covenant” è un 33,33% x 3, con “Domination” la personalità di Vincent si fa sempre più ingombrante, fino a prevalere: “Domination” è l'album più industriale e sperimentale che i Morbid Angel abbiano date alle stampe fino a quel momento. E chi è l’ispiratore di questa svolta se non Vincent stesso che, guarda caso, a breve avrebbe lasciato la band per unirsi alla moglie (fra l’altro una fica stratosferica) nei Genitortures, irrilevante band dedita ad un banale industrial- rock in voga nel periodo? La svolta di “Domination”, tuttavia, non stravolge più di tanto il sound dei Nostri e permette di ampliare il range espressivo di Azagthoth, il quale ha modo di progredire stilisticamente e di regalarsi momenti di grande protagonismo. S’inizia però ad insinuare il sospetto che Azagthoth questa grande cima non sia (la passione per i videogiochi ne è un indizio), che forse sia sì un grande musicista, ma che la sua sia una personalità debole, labile e che nelle dinamiche di gruppo finisca per recitare il ruolo della banderuola al vento: uno che parla di tecniche militari con Sandoval e di fica con Vincent.
Qualche parola va comunque spesa per il buon Erik Rutan, giovane talentuoso (nel 1995 aveva ventidue anni) arruolato alla seconda chitarra, chiamato a riempire uno spazio che, anche da un punto di vista creativo, evidentemente non poteva rimanere vacante a tempo indeterminato: il ragazzo ci sa fare alle sei corde, fornisce il suo onesto contributo (firma persino qualche brano: non poco per l’ultimo arrivato), ma sempre con grande referenza verso il maestro. L’impressione è che da un lato, il maestro abbia bisogno di ricevere attestazioni di stima (da qui la scelta di un giovane che lo veda come un oracolo: "Come sei bravo Trey, mi insegni tutto, ti devo tutto, ho iniziato ad ascoltare musica con i Morbid Angel, sei il migliore" ecc.); dall'altro il discepolo non è che sia proprio una marionetta, contribuendo non poco a mutare le forme dell’Angelo Morboso ("Maestro, hai sempre ragione, sei infallibile, ma io per questo assolo utilizzerei questo effetto...non per interferire, maestro, ma non trovi che qui sia opportuno aggiungere questa armonizzazione?" ecc.). Insomma, Azagthtoh anche in questa circostanza si fa già mangiare terreno dai suoi collaboratori, collaboratori che presto, salvo il fido Sandoval, lo abbandoneranno: anche Rutan (“Tu quoque, Erik, fili mi!”), acquisita la giusta visibilità grazie alla militanza in una band così importante, lascerà per concentrarsi sui suoi Hate Eternal.
Eccoci quindi al "fatale" “Formulas Fatal to the Flesh”, l’opera della solitudine per Trey, uno degli album più bistrattati dei Morbid Angel: immaginate l'amarezza di Azagthoth innanzi alle critiche dei fan che snobbarono o giudicarono negativamente l'album solo per la dipartita di un pezzo da novanta come David Vincent, oppure perché in questo lavoro non si persegue la via della sperimentazione inaugurata dal predecessore. Azagthoth, furente, urlerà al mondo: "Ingrati di merda, io scrivo il mio più bell'album di sempre e voi non lo capite, ma andatevene tutti affanculo!". E c’è da credergli: l'album in questione non sarà il migliore dei Morbid Angel, ma rimane la testimonianza più autentica della visione artistica di Azagthoth: a trarre in inganno sono la voce anonima del nuovo ingresso SteveTucker, che quanto a carisma non lega nemmeno lontanamente le scarpe a chi l’ha preceduto, e, più in generale, il ritorno brusco alle brutalità pre-“Domination”. Eppure dietro alla velocità di esecuzione e quei suoni pastosi ed oscuri c'è un songwriting brillante, un Azagthoth che invero continua la sua ricerca stilistica (soprattutto a livello di assoli), mentre i testi vertono principalmente sulla mitologia sumera e sono preghi di quelle invocazioni assurde ed impronunciabili che da sempre costellano le liriche vergate dal chitarrista. E’ dunque l'album di Azagthoth per eccellenza, quasi un’opera solista, dove egli esprime pienamente, non senza sbavature, la sua personalità artistica: forse è esagerato affermarlo, ma questo lavoro strabocca di una creatività incandescente data dall’esplosione di una interiorità che può finalmente esprimersi senza limiti, senza i diktat o la semplice influenza di qualcuno che intervenga nel forzare la sua visione artistica verso altre direzioni.
Con il successivo “Gateways to Annihilation” questa visione si consolida: è l'album più studiato, insieme a “Domination”, della carriera dei Mobid Angel: la regia è ancora saldamente in mano ad Azagthoth, tuttavia, laddove lo strapotere di costui si compì completamente in “FFF” (in quanto opera nata in circostanze eccezionali e sotto il segno di un evento traumatico quale è stata la separazione con il compagno storico Vincent), qui, una volta stabilizzata la situazione ed elaborato il lutto, riprende quel naturale processo di erosione artistica, a spese del chitarrista, che oramai è costante nelle dinamiche creative della band. E così Tucker, maggiormente a suo agio ed acquisita la giusta sicurezza, guadagna terreno (non solo il suo growl è più autorevole, ma anche a livello di scrittura il suo contributo diventa più incisivo, giungendo persino a scrivere una canzone in piena autonomia). Ma non solo: viene ripescato anche il buon Rutan, che partecipa attivamente alla stesura dei brani (ed anche lui scriverà il suo pezzo). Azagthoth , da parte sua, è meno pazzo, morboso, irrazionale, furioso, la sua urgenza comunicativa si viene a placare, come se egli trovasse conforto e sicurezza nel consolidarsi della nuova formazione.
Nel mezzo passo falso di “Heretic”, invece, vediamo un Azagthoth scarico di energie e privo di bussola. Solo, al comando, con i fedeli Tucker e Sandoval, ma senza più Rutan, checché ne dica (dichiarerà che “Heretic” è l’album definitivo dei Morbid Angel) egli mostra grossi segni di cedimento quanto ad ispirazione, ma soprattutto ci appare disorientato nel portare avanti la baracca. Buttando giù una serie di canzoni assai anonime (ma comunque dignitose), sorrette dal solo mestiere, sembra dirci: "E mo' che faccio? E che me invento? Mi sento solo, aiuto, ho bisogno che qualcuno mi aiuti...".
Ed ecco che, reduce dalla non memorabile esperienza con i Genitortures, giunge in soccorso quello stronzone di David Vincent. Ma non torna certo a testa bassa e con la coda fra le gambe: anzi, è probabilmente lui il responsabile primo di quel gran flop che sarà “Illud Divinum Insanus”. Questo è l'unico album dei Morbid Angel che non possiedo, ma, avendone sentito qualche stralcio in rete, un’idea me la son comunque fatta, e sinceramente non riesco a capacitarmi di come abbia fatto questa grandissima band a partorire un simile obbrobrio. E’ veramente, oggettivamente, storicamente, inappellabilmente un album di merda, brutto, imbarazzante, che fa venire i brividi dalla vergogna nel calarsi nei panni dei musicisti che l’anno concepito, composto e realizzato: i mitici Morbid Angel che filtrano con la techno, che suonano brani industrial/nu-metal che nemmeno il peggior Marylin Manson, roba dozzinale suonata con approssimazione, espressione di una totale appannamento creativo. Ed è indubbiamente tutta farina del sacco di Vincent, sebbene da qualche tempo Azagthoth andasse a giro a millantare questa sua fantastica folgorazione per la techno più pestona (da qui il triste motto “extreme music for extreme people”). Il povero Sandoval (a questo punto per sua fortuna) da tempo non faceva più parte della partita, uscito prima temporaneamente per motivi di salute e poi definitivamente per una improbabile conversione al cristianesimo, e quindi per manifesta incompatibilità con la mission aziendale (e sarà Vincent che nelle interviste lo tratterà a male parole, spiegando il suo allontanamento come la cosa più naturale di questo mondo). Ma la cosa preoccupante è che dietro all'ego di Vincent, Azagthoth scompare totalmente, ed è qui che veramente la mia volontà di comprensione si arresta: era un passo semplicissimo quello dell'ottavo album dei Morbid Angel, sarebbero bastate due scoregge di Vincent su un buon death metal di onesta fattura, ed invece si compie il più grande suicidio nel mondo del metal (i Metallica di “Load” e “Reload” in confronto ci sembrano dei signori). Ma cosa è successo, Trey? Perché ti sei prestato a questo gioco al massacro? Perché non hai detto, fatto nulla per impedire questo scempio? Perché hai permesso che la tua band, quella che hai fondato, reso grande, portato avanti con grande tenacia negli anni, si sputtanasse in questa maniera? Non era “Heretic” l’album migliore dei Morbid Angel? Non avevi sostenuto che quel pagliaccio di Vincent era lontano dall’ideologia della band e che quindi se ne stava bene affanculo? Ma veramente sei così labile e soggetto alle influenze esterne, suggestionabile innanzi all’ego altrui, da cambiare totalmente idea nell’arco di un solo album?
Il 26 marzo prossimo George Emmanuel III soffierà sulle fatidiche cinquanta candeline: un grande traguardo, ma anche il raggiungimento di un’età che poco si sposa con la sensibilità e la vita di chi suona death metal. Cosa dobbiamo quindi aspettarci per il futuro? Un saggio ritorno sulla retta via o il gesto senile che condurrà alla pagliacciata definitiva? Sono convinto che il prossimo lavoro dei Morbid Angel sarà una brutalità senza precedenti, non altro che un atto dovuto, un modo intelligente per chiedere scusa ai fan: sebbene il Gatto e la Volpe continuino a sostenere che dei giudizi dei fan non gliene freghi nulla, sono i fan e non altri, che portano il dinero in cassa, e questo i due lo sanno benissimo. Ad ogni modo, la svolta da intraprendere, qualsiasi essa sia, sarà comunque voluta da Vincent la Volpe, che un occhio di riguardo per il proprio portafogli l’ha sempre avuta, e non da Azaghtoth il Gatto (a meno che Vincent abbandonerà di nuovo), sebbene anch’egli a fine mese ci debba comunque arrivare. E a noi, vi dirò, un epilogo all’insegna della brutalità, andrà più che bene....
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