C’è un’opportunità. C’è un tradimento. Quindi, c’è una vendetta.

Max Dembo è un uomo solo, quando esce dal carcere. Probabilmente si sente l’uomo più solo del mondo. Dopo sei anni trascorsi dietro le sbarre, ha deciso di siglare una pace con la società. Trova un rifugio, trova un lavoro e trova Jenny che lo accompagnerà a lungo. Comunica al magistrato di sorveglianza della libertà vigilata i suoi recapiti. Ma questi lo tradisce e lo lascia per tre settimane in una cella per un nonnulla. Chi ha il potere deve esercitarlo per sopprimere ogni velleità di ribellione di chi gli è sottoposto. Se non schiacci, vieni schiacciato. Infine, però, quando il magistrato lo scarcera, Dembo si vendica.

C’è un’altra opportunità. E c’è un altro tradimento. Infine, c’è un’altra vendetta.

Max Dembo è ora un criminale. Ha rapinato un minimarket. Ha rapinato un banco dei pegni. Ha rapinato una banca. Per rapinare una gioielleria, Max porta con sé il fidato Jerry, che si occupa del personale e dei clienti, e Willy, suo amico fraterno, che aspetta in macchina. Almeno dovrebbe. Mentre Max e Jerry sono dentro la gioielleria, WIlly sparisce. La rapina va a buon fine ma costa la vita a Jerry e a un poliziotto. Dembo diviene un ricercato speciale, ma prima di lasciare la città, si vendica.

Il film di Ulu Grosbard parte dal romanzo di Edward Bunker Come una bestia feroce, del quale gli sceneggiatori, insieme all’autore del libro, tagliano, sintetizzano e modificano la storia, eliminano e sovrappongono personaggi, tralasciano tematiche e pensieri, dando vita a questo Straight time o Vigilato speciale (1978). In esso mancano il dissidio interiore, il dilemma tragico che opprime il protagonista del libro, e l’errore che lo porta al catastrofico “fratricidio”.

Il film, invece, mantiene in primo piano la città di Los Angeles e ne mostra le strade; e poi i ristoranti a basso prezzo e le tavole calde, i locali notturni e le bische clandestine, gli alberghi e le baracche, le stazioni degli autobus e quelle di polizia.

Mantiene il tema della violenza: nella dialettica tra il protagonista e le istituzioni, velocemente essa prende il posto delle parole che Dembo propone per tenere lontano il suo passato. Parla onestamente, si espone con diplomazia, cerca una mediazione. Ma in quel mondo chi ha il potere non media, lo esercita per sopprimere ogni velleità di ribellione di chi gli è sottoposto e la logica della sopraffazione non lascia spazio ai tentativi di mediazione e di comprensione dell’individuo al di là dell’etichetta sociale. Se non schiacci, vieni schiacciato.

C’è la musica: di alleggerimento ma con tratti eroici il motivo del film composto da David Shire che ci accompagna dall’inizio alla fine. E, infine, c’è la bravura degli attori: a parte Dustin Hoffman, interprete di alcuni tra i più iconici antieroi della nuova Hollywood, che dà il volto a Max Dembo, ci sono le notevoli interpretazioni di Theresa Russell, la cui Jenny anticipa un po’ la Tracy di Manhattan (1979) e di M. Emmet Walsh che dà spessore e ambiguità alla crudeltà del magistrato.

Un bel film: obbligatorio per chi ama quel cinema di quegli anni, lascerà a tutti quelli che gli dedicheranno due ore del proprio tempo più di qualcosa in cambio.

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