'Round about Mozart
Tradizione e innovazione, binomio che esprime il contrasto interiore a due esigenze primarie dell'arte. Binomio che ritroviamo vivo e pulsante in questo disco dell'Uri Caine Ensemble, dedicato a Wolfgang Amadeus Mozart ed inciso dalla Winter & Winter nel 2006 per l'anniversario dei 250 anni trascorsi dalla sua nascita. Un omaggio dunque, ma non canonico, bensì anomalo e irriverente. La musica del compositore, infatti, non viene semplicemente eseguita, ma fortemente trasfigurata attraverso un approccio inusuale e innovativo, che ne prevede lo stravolgimento e la sua integrazione con frammenti sonori improvvisati, esaltando così una forma di assoluta libertà espressiva con il solo fine di offrire all'ascoltatore un piacere della riscoperta musicale, che è allo stesso tempo intellettualmente stimolante. Tradimento, libertà, ricerca, tensione verso la creazione di nuove suggestioni. Questo è allora l'ambito che dobbiamo considerare nell'avvicinarci a questa musica per sperare di comprenderla. Uri Caine del resto non è nuovo a operazioni del genere, avendo già riletto in passato e col medesimo approccio "sui generis", le partiture di Mahler, Wagner, Verdi, Schumann, Bach e Beethoven. Parzialmente nuovo viceversa è il suo ensemble, che vede il felice innesto della chitarra elettrica del franco-vietnamita Nguyên Lê, oltre la presenza dello stesso Uri Caine (pianoforte) accanto a Joyce Hammann (violino), Chris Speed (clarinetto), DJ Olive (turntables), Drew Gress (contrabbasso), Jim Black (batteria) e Ralph Alessi (tromba). Una stramba miniorchestra composta da musicisti d'eccezione che, coinvolti in questo ambizioso progetto, appaiono ispiratissimi e letteralmente scatenati. Andiamo dunque a vedere come.
L'inizio è un inganno. Caine solitario ci trasporta subito nei vicoli della Vienna settecentesca. La musica nasce giocosa, luminosa enunciando il tema allegro e vitale del primo movimento della "Sonata per pianoforte K. 545". Per alcuni piccolissimi istanti si potrebbe pensare a un'interpretazione quasi ortodossa. Tuttavia, nello spazio di un attimo inafferrabile le sensazioni mutano irrimediabilmente pelle e si comincia a decollare altrove, dove il classicismo va stranamente a mescolarsi con cadenze blues, passaggi swing e fulminee improvvisazioni che, pur sottintendendo sempre il tema principale, riescono a donare un senso dissacrante di disorientamento. Un lieve capogiro iniziale, tratteggiato dal solo pianoforte. Non è comunque il vero viaggio, il quale deve cominciare davvero. Così, quando si passa all'ascolto del secondo brano, non si può non avvertire un'impressione di assoluta sorpresa nell'apprendere, leggendo il libretto, che trattasi del primo movimento della celeberrima "Sinfonia n. 40". La lunga e dilatata digressione iniziale, infatti, è a tratti sconcertante nella sua bellezza spaziale, assolutamente estranea a Mozart. Cupa, profonda, affascinante ondeggia tra sfondi elettronici e l'eco senza fine della chitarra elettrica di Nguyên Lê, mentre il pianoforte gocciola suoni isolati di ghiaccio, con il violino che accenna solamente la sua presenza e la tromba solitaria che si erge per attimi brevissimi e dissonanti. Mozart precipita negli abissi della decostruzione, le consuetudini stilistiche muoiono, l'imprevedibilità sale al potere. Quando arriva l'accento ossessivo della batteria, quasi ad avvertire nel crescendo del suo incedere che qualcosa sta per accadere, i suoni frastagliati iniziano lentamente ad amalgamarsi, sempre di più, fino a formare una densa pasta sonora, che all'improvviso, con una naturalezza a prima vista estranea al contesto, viene spazzata via dal violino. Si ricostruisce d'incanto e intatta la meravigliosa semplicità melodica del tema sinfonico portante nell'esecuzione ridotta dell'ensemble. Dallo spazio siamo di nuovo sulla terra. Siamo di nuovo per le stradine di Vienna, siamo davanti ad una orchestrina che svolge intensamente, e a tratti con ironia, la musica del genio salisburghese.
Sembra allora che queste interpretazioni, con tutti questi scarti continui avanti e indietro nel tempo, nel deformare le forme musicali, come riflesse in uno specchio distorto, abbiano in sé una forza espressiva di natura allegorica con una vocazione orchestrale. E tutto sembra nascere dall'infinita curiosità intellettuale di Uri Caine, che sfoggia una passione sincera, purissima, cristallina nel trasportare l'innovazione nella musica del passato.
Giunge la rilettura del secondo movimento della "Sinfonia n. 41". Dalle certezze melodiche iniziali, lo sviluppo si avventura all'interno di grovigli sonori dove respira l'inatteso, come l'incredibile azzardo del suono "mozartiano" della chitarra elettrica, una sorta di paradosso spazio-temporale, che lascia fantasticare su cosa avrebbe potuto comporre Amadeus per questo strumento, se solo lo avesse avuto a disposizione. Il quarto movimento del "Quintetto per clarinetto", invece, si svolge lezioso, passando al setaccio l'allegria mozartiana tramite un stravagante divertissement. È un momento di distacco che alleggerisce il peso dell'ascolto, reso oscuro dai precedenti passaggi, divenendo il miglior preludio del brano seguente dolce e malinconico, collegato all'incipit del disco. Si tratta del secondo movimento della "Sonata per Piano K. 545", che Caine interpreta integrando e sottolineando il valore pre-romantico insito in diversi momenti della scrittura pianistica del compositore austriaco. Nel terzo movimento della "Sinfonia Concertante", invece, ritorna la lieve spensieratezza espressa all'unisono dall'Ensemble, che non manca però di "inquinarla" aggiungendo con slancio pennellate schizofreniche e stridenti.
A questo punto l'omaggio di Caine si rivolge a due meravigliose opere liriche di Amadeus: "Don Giovanni" e "Il Flauto Magico". La prima trasposizione concerne una celebre aria di Zerlina - "Batti, batti o bel Masetto" - resa tramite una semplice forma strumentale, la quale non tradisce lo spirito originario della musica, almeno inizialmente. Difatti, nello sviluppo finale il gruppo va completamente a ruota libera, allontanandosi per gradi dal contesto iniziale per delineare un vero e proprio pandemonio, un caos ordinato di suoni, che sembrano schizzare da ogni dove, in una ricchezza di impulsi e di colori che accentuano un senso splendido del pazzesco. Per quel che concerne "Il Flauto magico", Caine decide di realizzare una sorta di medley con il duetto "Bei Männern, welche Liebe fühlen" e la stupenda aria della Regina della Notte "Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen". Ecco così un procedere di suoni che alternano il fantastico al grottesco, cesellati con ampio respiro teatrale, scatti elettronici e lapilli di pianoforte ovunque, insieme a pennellate di violino che sembrano davvero ri-disegnare la regina della notte in tutta la sua magnificenza.
Prima della conclusione, l'ennesimo esperimento è rappresentato dal "Rondò alla turca" della "Sonata per Pianoforte K. 331". Questo si caratterizza per la felice intuizione di affidare i suoni orientaleggianti al sinuoso clarinetto di Chris Speed avvitati su un crescendo gioioso e vivace, di cui si rende ancora una volta co-protagonista l'indiavolata chitarra elettrica di Nguyên Lê, in alternanza alla brillante tromba di Ralph Alessi. Così come l'apertura, anche la chiusura del disco è affidata al piano solo di Caine con una lettura, come di consueto torrenziale e dinamica, del terzo movimento della "Sonata per pianoforte K. 545". Caine si arrampica impavido lungo gli impervi accordi mozartiani, concedendosi di nuovo il lusso o l'incoscienza di modificarli, snaturarli fino ad ottenere prospettive diverse, fino a quel momento forse impensabili.
Impensabile? forse alla fin fine questo è l'aggettivo più adatto per sintetizzare la natura di questo lavoro, nato solo grazie all'acuta perseveranza e curiosità di un artista unico nel panorama della sperimentazione musicale odierna, uno dei pochi oggi in grado di lasciare un'impronta realmente significativa in ogni suo progetto. Avere oggi la possibilità di ascoltarlo è un piccolo privilegio, che negarsi sarebbe un errore.
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