C'è sempre un grano di pazzia nell'amore, così come c'è sempre un grano di logica nella follia (Nietzsche).

Il concerto è previsto per le 21.00, arrivo in teatro con appena un quarto d'ora d'anticipo. Ho prenotato i biglietti già da tempo e non c'è nessuna fretta. All'ingresso mi attende un amico, già in fibrillazione. Lo capisco, lui, essendo un pianista, ha un'interesse particolare verso Uri Caine. Entriamo ed incontriamo il fonico del concerto, il quale ci racconta esaltato le prove del pomeriggio. "Non ho parole, è un treno, è caldissimo, sarà un grande concerto", ci dice.

Entriamo e la sala è già piena. C'è qualche posto vuoto. "Peggio per chi non c'è", penso. Si spengono le luci in sala e Caine sale sul palcoscenico, in cui fa bella mostra di sé il pianoforte a coda illuminato da una dolce luce ambra. L'ingresso di Caine strappa un sorriso. Entra come se fosse capitato lì per caso, è vestito in modo informale jeans e magliettina, non dice una parola, mostra solo un bel sorriso aperto e fa un timido inchino al pubblico, quindi si catapulta al piano. Da subito si intuisce che sarà una bella serata. Aggredisce freneticamente gli ottantotto tasti del pianoforte, che sembrano non bastare mai alla danza leggiadra delle sue mani sulla tastiera. Un jazz blues velocissimo travolge il pubblico per sette minuti, poi quasi senza fermarsi inizia a giocare con le citazioni musicali. Nasconde in una nebbia il tema, lo fa intravedere, percepire, per poi camuffarlo ancora, finchè diventa evidente: "Blackbird" dei Beatles.

Gioca con le memorie sue e nostre, come se pescasse di continuo dal magma dei ricordi collettivi musicali, che nelle sue mani divengono creta da plasmare per definire qualcosa di nuovo. "Blackbird" sparisce sepolto da una cascata di note e pian piano assume un'altra forma. Si innesta l'aria delle "Variazioni Goldberg" di Johann Sebastian Bach. Vien paradossalmente da pensare che da Bach ai Beatles il passo è breve. Non c'è nemmeno il tempo per applaudirlo quanto meriterebbe, che il nostro è di nuovo all'opera. "Cosa ci vuoi regalare adesso?", penso tra me e me. Inizio a riconoscere la citazione: Gustav Mahler. Si tratta del tema della prima sinfonia in re maggiore, derivato dalla canzone popolare "Frere Jacque" (Fra Martino). Da questo momento le citazioni mahleriane si sprecano una dietro l'altra fino ad uno dei momenti più belli della serata: la rilettura del famosissimo Adagietto (Sehr langsam) della quinta sinfonia, che molti probabilmente ricorderanno come tema musicale di "Morte a Venezia" di Luchino Visconti.

Senza respiro il gioco continua. Ora tocca riconoscere le "Variazioni Diabelli" di Ludwig Van Beethoven, ma è l'illusione di un momento. In un attimo Beethoven viene trascinato lontano prima a New Orleans, poi a New York. Una musica senza tregua, in continuo movimento insomma. E ancora applausi. La parte finale del concerto non cambia il percorso intrapreso. Caine continua ad accennare, confondere, trasfigurare intelligentemente mondi musicali distanti. Si avverte la presenza di Duke Ellington e Charlie Parker accanto a Robert Schumann. Sembra una logica, splendida, lucida follia. Fino al finale con due classici del jazz: "Autumn Leaves" e "Round Midnight". Una perfetta chiusura di una serata da incorniciare.

Good Night Uri.

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